Foto di Luciano Bernardi

 

Spesso si è parlato di Porretta Città della Musica, ma mai come quest’anno abbiamo visto tante iniziative di altissima qualità riscontrare tanto successo a Porretta.

Per citarne solo alcune, che non sia il pluri-blasonato (e ben giustamente) Soul Festival abbiamo visto la II edizione della Domenica Barocca a cura dell’associazione Vox Vitae, abbiamo visto la III edizione di “Buonanotte ai suonatori” diventato “Porretta Prog”, passando per le edizioni del Jazz Festival, e arrivando anche al nocciolo della serata, ossia l’annuale appuntamento con “Invito all’Opera” organizzato dal Teatro Testoni, ossia l’Associazione Santa Maria Maddalena in collaborazione con il Comune di Alto Reno Terme e anche della Pro Loco di Porretta Terme, giunto quest’anno all’ottava edizione.

Come abbiamo già potuto vedere il teatro quest’anno ha voluto rischiare, proponendo ben due titoli, di cui il primo ne abbiamo già parlato, in quanto è andato in scena il 12 Giugno scorso, ossia Traviata di Giuseppe Verdi.

Ma la scommessa risiedeva tutto nel successo di questa serata, in quanto se da una parte “Traviata” è certamente un’opera dal botteghino sicuro, molto meno poteva esserlo “Cenerentola”, che anche se musicalmente parlando è forse il capolavoro rossiniano non è certamente famosa quanto il suo “Barbiere”.

Ma, contro ogni più pessimistica previsione la scommessa è stata vinta, con quasi 300 persone presenti all’arena del Rufus Thomas Park per assistere al secondo titolo della stagione 2019.

Lo spettacolo, anch’esso diretto come per Traviata dal M.o Rivani, alla guida dell’Ensemble Tempo Primo di Ravenna, è stato di indiscusso successo, sia grazie alla stupenda musica veramente ben eseguita da coro, orchestra e cantanti (andremo nel dettaglio in seguito) sia grazie alla bella realizzazione scenico-registica del nostro “amico” (ci permettiamo di chiamarlo così visto che il progetto di riportare l’opera fu presentato 8 anni fa al teatro proprio da lui) Lorenzo Giossi.

Rimanendo in campo registico vogliamo analizzare subito l’operato di Giossi.

Sappiamo chiaramente, in quanto dichiarato dallo stesso regista, che questa produzione di Cenerentola è stata richiesta e commissionata affinché seguisse le orme del pluri eseguito e tanto applaudito “Barbiere di Siviglia” firmato da Lorenzo Giossi in tanti teatri italiani e stranieri (compreso il nostro).

Per cui una versione molto colorata, sgargiante, quasi un cartoon.

Quasi come se si volesse raggiungere un dittico rossiniano con Barbiere e Cenerentola.

Tanto abbiamo apprezzato quel Barbiere per quei colori così cangianti, forti, spinti e quasi manieristi. Ma se per il Barbiere un clima di surrealismo del genere può cadere a pennello forse per Cenerentola la cosa potrebbe risultare troppo forzata. Infatti i colori, seppur molto evidenti non raggiungo, chiaramente volutamente, lo stesso livello di saturazione come erano nel Barbiere.

Quello che ci appare è probabilmente l’unione tra quella tipologia rappresentativa ad un lato che in Barbiere appare molto meno, ossia la cattiveria. Perché sì, seppur sia un’opera molto più buffa di Barbiere, in Cenerentola c’è una dose di cattiveria (ovviamente nei personaggi delle sorellastre e di Don Magnifico) che nell’altro titolo è quasi totalmente assente; per cui soprattutto i colori degli antagonisti (e di cenerentola versione “misera”) sono molto più spenti e sporchi, mentre i colori dei 3 personaggi positivi (Dandini, Ramiro e Alidoro) sono esattamente come nella scorsa regia: accesi, contrastanti, pantonati quasi.

Notevole, veramente, l’idea di un elemento scenico che potesse essere non un semplice riempitivo, ma protagonista della scena, con il quale i personaggi potessero interagire.

Questa Macchina/carrozza/cassaforte/stufa è stato forse l’elemento che nella sua semplicità ha portato più dinamica di quanto i cantanti potessero mai avercene aggiunta di loro.

Unica pecca? Ora che siamo arrivati veramente ad un livello scenico, orchestrale, vocale, corale veramente alto speriamo che il prossimo passo siano dei costumi realizzati in maniera sartoriale (sappiamo bene la poliedricità del Giossi, ma anche positivamente bisogna dire che “a tutto c’è un limite” e speriamo che presto qualcuno possa affiancarsi a lui per colmare questa unica lacuna, comunque molto leggera, che ci sentiamo di trovare in questo spettacolo).

Foto di Luciano Bernardi

Venendo al Cast non possiamo parlar male di alcuno dei componenti di questa compagnia, assolutamente.

Le sorellastre sono state scenicamente una cosa unica, bilanciandosi tra di loro anche per eventuali forma macchiettista (più uniche che rare per fortuna); una macchina inarrestabile che ha condotto la scena sempre avanti, senza mai trovare buchi. Anche vocalmente infatti si è creato un buon impasto tra il suono decisamente proiettato in avanti della Bastoni e quello bello avvolgente della Cuk (tra l’altro anche visivamente sembravano accoppiate apposta, con questo “dislivello” fisico meravigliosamente comico tra le due).

Alidoro è forse il ruolo che tra tutti potrebbe risultare meno importante, ma partiamo dal fatto che intanto ha secondo noi una delle arie più belle e più difficili allo stesso tempo per basso dell’intero repertorio rossiniano, e solo per questo merita molta più attenzione. Poi ovviamente non dimentichiamo come in realtà sia il vero Deus est machina dell’opera, e solo grazie a lui il nodo avviluppato si riesce a sciogliere.

Il De Giacomi sostiene con sobria eleganza (quale il ruolo dovrebbe avere) tutta l’opera, e porta a casa un’aria veramente dignitosa, senza sbavature e con coerenza tecnico-timbrica (nonostante sia la sua giovane età sia la difficoltà oggettiva)

Dandini anch’esso potrebbe risultare un ruolo che, aria iniziale a parte e duetto nel secondo atto con Don Magnifico, non abbia molti momenti per brillare; e infatti spesso cade in azioni macchiettiste. Ma non qui: l’ottima sinergia tra il cantante e la volontà del regista porta ad un Dandini semplice, divertente e sobrio, una sorta di Totò minimale, che porta sempre avanti la scena e l’azione della trama, potendo poi uscire vocalmente anche in altri punti come l’arioso del Pallone (probabilmente è il cantante che a livello di volume più spiccava nel cast, seppur con quale problematica ancora da risolvere su certe agilità, di indubbia difficoltà).

Tuppo nel ruolo del principe Ramiro è probabilmente la migliore espressione del calarsi perfettamente nel ruolo. Ramiro è cucito a misura su di lui, sia vocalmente (grande facilità negli acuti e nelle agilità) che teatralmente. É un vero animale da palcoscenico e si vede che ha nelle vene il sangue del Principe rossiniano.

Nel debutto del ruolo invece troviamo i due veri protagonisti: Cenerentola e Don Magnifico.

Partiamo da quest’ultimo:

Innanzitutto scopriamo che a sostituire il Fioratti all’ultimo secondo è accorso Gianandrea Navacchia, che già a giugno abbiamo avuto il piacere di ascoltare come Barone nella Traviata.

Partendo quindi dal presupposto che: cantante giovane, chiamato in breve tempo a sostituire uno dei ruoli più impegnativi dell’opera e debuttarlo pure non possiamo che fare il nostro plauso completo a questo artista. Cantante che, seppur sia poco tagliato (appunto per la giovane età)  ancora per un ruolo che richiede un cantante anche scenicamente più “maturo”  ha portato in scena un Don Magnifico PURO, ossia epurato da caccole, schifezze, citazioni a non finire, scopiazzature di altri cantanti. E non solo, un Don Magnifico musicalmente preciso come un orologio svizzero, non una sbavatura, non una nota fuori posto. Ad Majora, Gianandrea!

E, dulcis in fundo (per il cast), arriviamo ad Alessandra Masini, debuttante nel ruolo principale di Cenerentola.

La Masini ha portato, come Navacchia, una Cenerentola cristallina in scena, dove ogni semicroma era esattamente nel punto esatto dove doveva essere (sembrerà poco, ma il ruolo è tecnicamente di una difficoltà elevatissima), una ricerca della omogeneità di suono e di timbro veramente di altissimo livello. Già la Masini ha una voce di natura veramente notevole, qui ha dato prova anche di una capacità di studio, di conoscenza della tecnica di un ottimo livello. Le auguriamo di proseguire in questa ricerca per poter sempre più amalgamare il suono in tutto il suo range vocale: dalle note più gravi (di cui ha perfetta padronanza) fino agli estremi più acuti (Che chiaramente per un mezzosoprano sono la parte più arda, ça va sans dire).

L’orchestra l’abbiamo sentita in una forma smagliante, decisamente un livello molto più elevato rispetto a Traviata (dove anche la situazione degli spazi non aiutava, come facemmo notare a giugno). Si vedeva chiaramente che era consolidata in un’opera che musicalmente lascia poco scampo. Ottima sinergia tra gli stessi orchestrali e tra strumentisti e direttore. Ovviamente una parola in più di merito va appunto al direttore che si dimostra sempre di più un ottimo direttore rossiniano. Infatti riesce sempre a prendere dei tempi che potrebbero sembrare esagerati come velocità quando invece hanno un tactus dotato esattamente del quid che avrebbe desiderato il compositore. Nulla ne’ troppo lento ne’ troppo veloce. Ogni cosa aveva trovato il giusto metronomo senza mai perdere l’omogeneità generale all’interno dell’opera. Veramente notevole come porta a loro agio i cantanti nelle arie solistiche e come riesce quasi a creare due orchestre parallele, quelle vocali e quelle strumentali nelle scene di insieme, come in particolare Il nodo avviluppato,  o Questo strepita e sospira.

Per ultimo, ma non per demerito, bisogna parlare del coro.

Se per due ore il coro sembra cantare relativamente poco, in realtà si parla di 5-6 interventi e non da poco. Per cui il coro, posto come fosse a commento della scena, diventa un ottimo collante tra le scene solistiche.

Un coro, solo maschile, composto da una dozzina di elementi magistralmente preparati dal M.o Pierpaolo Scattolin, che oltre ad averli portati (come sempre) ad un livello più che professionistico, ha pure fatto da riporto di direzione tra il Rivani e il coro (a causa delle grandi distanze dal direttore).

Il Coro Euridice si dimostra sempre una sicurezza di intonazione, impasto sonoro e presenza scenica (pur non facendo nulla).

Per cui, citando Don Magnifico, Insomma delle somme il teatro Testoni ha fatto con questa Cenerentola uno strike sublime, confermando definitivamente che il progetto dell’opera a Porretta è consolidato e che ormai il pubblico si è sempre più affezionato.

Ogni anno il progetto cresce, piano piano, mattone per mattone.

Ora che le fondamenta sono decisamente stabili la casa non può che crescere, e diventare presto una meravigliosa reggia della cultura per Porretta Terme.

 

Siamo già curiosi di sapere cosa ci prospetta il 2020… infatti sappiamo che sono già.. all’opera!

 

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