Viaggiare in treno ai tempi del coronavirus

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Oggi, 23 marzo 2020, non è un giorno qualunque come tanti altri. Me ne rendo conto mentre attraverso i portici di Bologna, da sempre pieni di vita con tanta gente, negozi aperti e vetrine illuminate, ora tutti chiusi con le saracinesche abbassate, solo il tabaccaio aperto. Un negozio sfoggia ancora, anche se chiuso, i suoi bei capi di abbigliamento in saldo dietro una vetrina impolverata, una pasticceria ha affisso un cartello che consegnerà le colombe di Pasqua a domicilio non sapendo la data di riapertura.

Non passa nessuno, solo un autobus vuoto e un taxi a passo d’uomo.

Non la riconosco Bologna così silenziosa e spettrale, mi reco in stazione, devo prendere il treno per andare al lavoro. “Servizi pubblici essenziali dello Stato” ci dicono “non possiamo esimerci”.

A questo punto sembra di entrare in quei film  horror…. scendo dalla scala mobile e arrivata nel sottopassaggio….il silenzio…. rotto solo dai miei passi.

Non c’è nessuno che mi urta…per sorpassarmi di corsa ….per andare ai binari sotterranei dell’alta velocità da prendere all’ultimo secondo ….e col rumore dei trolley in corsa.

Ad un tratto l’altoparlante annuncia la cancellazione dei treni che provengono da Venezia, da Ferrara, da e per Torino, da e per Milano, da e per Roma, da Cesenatico, da Poggiorusco, da Marzabotto, da Bazzano. I cartelloni di ogni binario non hanno infatti nessuna scritta, né con la meta, né con l’orario, sembra quasi un giorno di sciopero nazionale dei trasporti. Ma non è così, lo sciopero sai quando ha inizio e quando ha fine, mentre per l’emergenza attuale non sappiamo né l’una, né l’altra.

Non è un giorno qualunque, siamo in piena emergenza: pandemia mondiale da coronavirus. E infatti nell’atrio c’è una decina di agenti della Polizia di Stato che scrutano i miei movimenti mentre faccio il biglietto al distributore automatico.

Uno di loro si avvicina, anche lui con la mascherina, mi chiede dove vado, gli faccio vedere l’autocertificazione, mi ringrazia e mi dice che non ha bisogno di tenerla.

Un addetto alle pulizie passa con la macchina lavapavimenti sul binario 1.

Non c’è il solito brulichìo della gente che si accalca nei bar prima di prendere il treno o mentre sta aspettando qualcuno. Tutto chiuso.

Mi avvio al Piazzale Ovest, dove di solito prendo il treno che va a Porretta Terme, e nel frattempo penso “…se hanno cancellato anche quello aspetterò il prossimo, non vado certo in autobus dove sicuramente c’è più gente”.

Un agente della Polfer va su e giù dal binario 5, forse per sfidare il vento gelido di oggi e dove il treno è invece lì che mi aspetta, col suo vestito tricolore, sì, è uno degli ultimi modelli.

Entro e noto che il treno è completamente vuoto, siamo solo tre passeggeri. Un treno pulitissimo coi i suoi sedili azzurri, brillante, mai visto così.

Il Capotreno, una ragazza giovane con la mascherina, fa un timido cenno di saluto con lo sguardo, mentre ognuno di noi prende posto. Uno distantissimo dall’altro, senza varcare quella soglia segnalata da bandiera rossa riservata al personale della Ferrovia.

Mentre il treno inizia la sua corsa il Santuario di San Luca s’intravede maestoso e protettivo dall’”ermo” colle,

Non si vedono altri treni in arrivo o in partenza da nessuna direzione.

A Borgo Panigale scende un passeggero. A Casteldebole dove scende un altro passeggero, noto un grande tricolore, che spavaldo, sventola da un balcone.

Stazione di Casalecchio Garibaldi, io ultima passeggera di questa giornata sono arrivata, il treno si è completamente svuotato. Riprende la sua corsa per Porretta Terme con il solo macchinista e il capotreno, che anche loro, in tempo di coronavirus devono garantire, malgrado tutto, quei servizi essenziali che servono all’Italia.

Anche se non potranno stare vicini e chiacchierare. Quasi quasi li invidio perché nel percorso potranno godere della prorompente primavera esplosa che solo l’incantevole Appennino sa regalare.

Al rientro, dopo una giornata di decisioni importanti, nel rispetto delle direttive ministeriali, non  vedo nessuno in stazione ad aspettare. Qualcuno è già seduto sul treno che rientra dalle stazioni precedenti, seduti sempre più distanti, con mascherina e guanti.

 

A Casteldebole torno a guardare quel tricolore di stamattina e penso che l’Italia, tanto sofferente quanto amata, ha bisogno sì del suo tricolore che sventola dai balconi, ma dell’unità di intenti da tutte le parti e anche di tutti noi che non avremmo mai pensato di lavorare, da domani, con lo smart working, ovvero lavoro agile, per garantire i servizi essenziali dello Stato.

 

Foto di Pasqualina Tedesco

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