Morire di rendita

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Questo titolo mi è stato suggerito da due episodi. Il primo fu il commento di una persona sulle condizioni finanziarie di un comune amico, erede di una certa eredità fondiaria nell’Italia insulare che, nei secoli passati, aveva consentito una dignitosa vita alla sua famiglia, ma, che oggi giorno risultava più una palla al piede economica che una risorsa. Alla domanda :”XY vive di rendita ?” “No, muore di rendita “. Il secondo mi è suggerito dalla lettura di un autore spagnolo del XVII secolo, el siglo de oro della cultura e del potere spagnolo nel mondo. Costui, profondamente innamorato del proprio paese scrisse :”La Spagna è un grande paese ! Noi non abbiamo bisogno di produrre nulla, ciò di cui abbiamo bisogno lo comperiamo !”. Perché questo cappello ? Per parlare, sul piano economico, del Belvedere, ovvero del Comune di Lizzano in Belvedere. Come ha giustamente detto Sergio Polmonari, il Belvedere ha vissuto per 50 anni grazie al Corno, ai suoi apporti turistici e sciatori. Personalmente calerei ad un quarantennio, è sempre un bel numero di anni ! Dal 1950 al 1990 il mito Corno alle Scale ha fatto convogliare sul Comune di Lizzano turisti estivi, sciatori ed acquirenti di seconde case con apporti economici non trascurabili. Contemporaneamente ha contribuito, però, alla disgregazione di un tessuto economico e sociale di cui, oggi, ne vediamo le conseguenze. Chiusura di forni, di attività commerciali, agricole e produttive. I beni da fornire al turista era più facile e semplice acquistarle che produrle. Intanto la società andava cambiando, non bastasse, uno sconvolgimento climatico si profilava all’orizzonte. Avendo, mia madre, gestito per vari anni tre alberghi e due ristoranti a Lizzano, dall’inizio 1950, posso essere buon testimone di questa evoluzione. Torniamo a quegli anni, l’Italia delle classi subalterne aveva avuto la possibilità di possedere un’automobile, la mitica 600. Per coloro che abitavano le province di Bologna, Ferrara e parte del fiorentino, poter arrivare a Lizzano e pranzare con : tortellini, lasagne, tagliatelle, polli arrosto ed altro sembrò toccare il cielo con un dito. Di Domenica era usuale fare tre turni per servire gli avventori nei ristoranti. L’auto era divenuta il simbolo stesso dell’evasione. Andare a gironzolare con l’auto era il divertimento di molti, anche senza un obiettivo, per divertirsi bastava viaggiare in automobile. Le donne erano ancora donne di casa e, quindi, dalla fine di Maggio, chiusura delle scuole, a Settembre, avevano preso in affitto un appartamento nel Belvedere ove trascorrere l’estate con i figli, spesso più di due. Chi aveva maggiori disponibilità finanziarie passava l’estate in albergo. Con il 1953 il sig. Vittorio Cappelli di Bologna costruì la prima sciovia al Corno, Cavone-Le Rocce . Ai 4-5 mesi estivi si aggiungevano i 4-5 mesi invernali. Ricordiamoci che allora nevicava a metri, non a centimetri come oggi ! Agli alberghi e ristoranti l’approvvigionamento dei generi alimentari era quasi tutto locale . Non solo vi erano, parlo di Lizzano, due forni, ma i polli venivano acquistati dal sig. Brando che li allevava sotto il Fondaccio. Così era per carni, verdure e frutta. Il boom dei consumi mise subito in crisi il sig. Brando. Poteva fornire un certo numero di volatili, ma non tanti quanto richiedevano gli strapieni ristoranti. Brando era già anziano e nessuno si prese la briga di impostare un allevamento di maggiore produttività. Così i polli e derivati si iniziarono a comperare dalle zone attorno a Bologna ove erano sorti allevamenti di maggior produttività. Così, pian piano, risultò più conveniente acquistare frutta, verdura, carni ed altro da altre zone. Le attività commerciali e di produzione primaria chiudevano, ma l’apporto economico del Dio Corno suppliva a questo costante depauperamento sociale ed economico di base. Anche i forni cessarono l’attività. Il pane lo si acquista, non lo si produce più. Certo, questo collasso socio-economico era figlio del proprio tempo ove il consumismo e la produzione intensiva avevano preso il sopravvento su modelli produttivi più artigianali e più inseriti nell’ambiente. Però i tempi cambiano, e così il clima e le abitudini e modelli sociali. Oggi ci troviamo dinnanzi ad un periodo di utilizzazione degli impianti sciatori tra i 20 ed i 30 giorni, le ferie estive sono ridotte a 25-30 giorni, le altre festività apportano pochi turisti. Le donne lavorano, i figli sono pochi, le possibilità e le prospettive economiche sono incerte se non negative. L’uso dell’auto è più una maledizione che un piacere. In contrasto con ciò è nata una contestazione dei modelli produttivi di carni con allevamenti mostro, un certo recupero di beni più consoni ad una filosofia sociale rispettosa dell’ambiente. E così sono sorte: coltivazioni di grani storici, macinatura a pietra, forni per la panificazione a legna, allevamenti di volatili ed altre carni bianche mantenuti in quasi semi libertà, agricoltura specializzata in piante utilizzate in passato, produzione di bevande a livello artigianale : birre i vini in primo luogo. Certo, questi beni hanno un costo superiore a quelli industriali, ma il livello qualitativo è notevolmente superiore. Oggi la spesa per gli alimenti di una famiglia media italiana oscilla tra il 18% ed il 22% del reddito mentre in passato era tra il 60 ed il 100 % a seconda della fascia sociale e del luogo, conseguentemente una lieve superiore spesa bilanciata da una migliore qualità, anche sotto l’aspetto etico, è sopportabile. A questo punto ritorniamo al Belvedere. Quasi tutti i beni della ristorazione e di consumo quotidiano, parlo degli alimentari, provengono da fuori del Comune. Ho calcolato che solo di pane se ne acquistato annualmente tra i 750 ed i 1.000 quintali. Ne consegue che ciò che forniscono i ristoranti agli avventori, nel 90% non ha ricadute nel territorio, rimane solo il surplus del servizio e delle tasse. Si arriva al paradosso che, essendo le strutture ricettive e di ristorazione del territorio sovra dimensionate rispetto all’attuale flusso turistico, più turisti arrivano e più vi sono entrate per i servizi ma più uscite per i beni alimentari fondamentali con scarsi aumenti occupazionali. A mio avviso adesso il vero obiettivo per ridistribuire reddito nel Belvedere sarebbe ricostruire un tessuto produttivo partendo dalla base, ovvero dal mondo agricolo e di allevamento per salire sino al comparto della trasformazione e della distribuzione. Partiamo da due aspetti fondamentali : il pane e  l’allevamento avicolo. Nel primo caso, stante la richiesta di panificazioni con grani antichi o di prodotti particolari, coltivazioni di detti grani, molitura a pietra con il ripristino di un antico mulino e panificazione con forni a legna, darebbero un valore aggiunto al prodotto finale da ripagare la scarsa produttività agricola e tutta la trafila, non eliminando di certo il pane fatto con farine industriali . La richiesta dei famosi “polli ruspanti” potrebbe far prosperare un allevamento avicolo teso a questo obiettivo. Anche un laboratorio di birra artigianale e coltivazioni di vegetali e frutta non presenti oggi sul mercato. I ristoratori avrebbero a disposizione prodotti di elevata qualità che potrebbero fungere da richiamo gastronomico. Evidente la ricaduta economica sul territorio, riducendo gli acquisti fuori dal Belvedere e segnalandosi per le emergenze qualitative dei prodotti forniti. Credo che il ripristinare questa base produttiva e la sua commercializzazione debba essere uno degli obiettivi primari di qualsiasi amministrazione che abbia il Belvedere dopo questa tornata elettorale.

Ettore Scagliarini

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