La Cultura (NON) si ferma in Appennino: Paolo Ciampi

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Ho sempre pensato, fin da quando mi sono cimentato nella grande avventura della scrittura, che essere sia autori di racconti e romanzi ed essere anche giornalisti non sia affatto facile. Coniugare l’estro creativo con il senso più razionale di raccontare la realtà, spesso spiacevole, del mondo che ci circonda implica non poche difficoltà e richiede un senso critico notevole, che deve essere in parte abbandonato quando ci si lascia andare alle emozioni che avvolgono, mentre creiamo dal nulla una storia che ci colpisce e che, volenti o nolenti, ci coinvolge nell’anima e provoca emozioni intense.

L’identità dello scrittore e quella del giornalista sono molto diverse, a mio parere: due modi di essere che hanno bisogno di trovare il giusto bilanciamento per coesistere e percorrere due strade parallele.

Ogni tanto, però, queste strade riescono a trovare qualche piccola intersezione, dimostrando l’abilità del narratore di donare un pizzico quasi impercettibile eppure presente di emozioni in un articolo di giornale e, al tempo stesso, di porre più senso critico nelle storie di fantasia e più personali, che altrimenti diverrebbero forse troppo intime e di non facile comprensione per tutti i lettori.

Paolo Ciampi, scrittore e giornalista ed ospite odierno della nostra rassegna virtuale, ha messo in pratica egregiamente questo tipo di abilità, unendola alla passione per i viaggi e un modo di raccontare che è sì personale e intenso, se parliamo di sensazioni, ma che possiede quel senso documentaristico accattivante, che porta l’estimatore delle sue storie ad emozionarsi, e interessarsi alla storia ed alle tradizioni dei luoghi visitati dallo scrittore che stiamo per conoscere un po’ più a fondo.

Come prima cosa, viene spontaneo chiederti se sia iniziata prima la passione per la scrittura o per i viaggi.

Direi che prima della scrittura e dei viaggi è arrivata la lettura, poi da questa passione sono discese le altre.  Ogni libro che si legge, in fondo, è un libro che si riscrive. Ogni libro è anche, a modo suo, un viaggio. Per quanto mi riguarda ho cominciato a partire da adolescente, immergendomi nei romanzi di Salgari. E ancora oggi, quando sono lontano dal mio Appennino, riesco a ritornarci attraverso le pagine di qualche autore. Ogni volta che smetto di leggere, poi, anche la mia scrittura ne risente.

 

Nella stesura dei tuoi romanzi, tieni più in considerazione le emozioni interiori o le descrizioni di situazioni reali, in cui il lettore potrebbe forse immedesimarsi di più?

Sono un autore che si sforza di raccontare ciò che vede e ciò che incontra, nella consapevolezza che la realtà è sempre più fantasiosa della stessa fantasia. In ogni caso ogni situazione è filtrata da ciò che siamo e anche da ciò che vogliamo essere. E noi siamo anche le nostre emozioni, ci mancherebbe se questo non fosse.

Parliamo un po’ di giornalismo, con una piccola provocazione: perché anche in un articolo non si può inserire il proprio punto di vista? Non credi che sarebbe un passo in avanti per fare “buon giornalismo”, che spesso latita ormai?

Domanda complessa, non basterebbe un workshop per azzardare una risposta. Provo a riassumerla in tre battute. La prima: il mito anglosassone della separazione del fatto dall’opinione è un mito salutare, ma appunto un mito; esprime casomai un obiettivo a cui dobbiamo tendere ma che non raggiungeremo mai. La seconda: non riusciremo mai a raccontare la realtà a prescindere dal punto di vista, ma questo non significa non essere fedeli alla ricerca della verità e leali nei confronti dei nostri lettori. La terza: intanto sarebbe un buon inizio dichiarare il nostro punto di vista, non nasconderlo.

 

C’è un tuo libro, anche senza farne il titolo, che non ti ha mai soddisfatto del tutto, anche dopo la pubblicazione?

Della trentina di libri che ho pubblicato non ce n’è nessuno che riproporrei allo stesso modo, senza cambiare nulla. Forse lascerei intatte singole pagine o poco più: ma curiosamente sono proprio quelle che, rileggendole, mi inducono a domandarmi se sia stato io a scriverle o un altro che faccio fatica a riconoscere. Considero tutto questo un buon segno e mi preoccuperei se in futuro così non fosse: il libro rimane fissato al momento della pubblicazione, ma noi cambiamo. E nel diventare diversi non può non cambiare il nostro modo di scrivere.

 

Qual è secondo te la responsabilità più grande di uno scrittore verso i propri lettori?

Altra domanda a cui mi riesce difficile rispondere. La prendo larga e mi viene da dire che, malgrado i molti libri pubblicati, faccio fatica a reputarmi uno scrittore. In ogni caso mi piacerebbe essere  piuttosto considerato uno che racconta storie. Forse le potrei raccontare anche intorno a una tavola o davanti a un camino, senza bisogno di un computer. Chi racconta una storia tiene vivo un pezzo di vita e lo consegna ad altre persone, che ne diventano allo stesso modo responsabili. Ecco, credo che questa sia una possibile risposta: dobbiamo stimolare curiosità per le storie e condividerle, per farsi carico insieme della vita.

Un viaggio nel cassetto che conti di realizzare a breve?

Quanti ce ne sono nel cassetto, alcuni riposti in seguito all’emergenza Covid… Certamente è ancora più forte in me la convinzione che i viaggi che ci portano più lontano sono quelli che hanno bisogno di meno chilometri di distanza da casa. Presto cercherò qualcosa di lontano anche se vicino, la mia idea è di camminare nei luoghi degli etruschi e, attraverso di loro, di ascoltare il respiro del tempo.

 

Foto dal web

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