“Quante volte hai fatto questo sentiero?”

“Completo mai!”

“Come completo mai? E tu porti i bambini a fare un giro che non hai mai fatto?”

“È un giro facile, fino all’incrocio con Madonna dell’Acero lo avevo fatto in bici, ma non è duro e neanche complicato. Arriveremo presto alle Cascate.”

Finivo di dire così che il sentiero improvvisamente si staccava dal fiume e cominciava a risalire duramente la montagna. Un piccolo incrocio illudeva i ragazzi che si continuasse lungo il fiume ma i segnali erano chiari, bisognava salire. Elisabetta era ferma lì a quel falso incrocio.

“Sei sicuro che bisogna salire?”

“Si ragazzi, guardate i segnali bianchi e rossi del Cai, dovete seguire sempre questi e il numero 333 direzione cascate.”

Federico davanti saliva sicuro, andava così spedito che quasi non ci credevo, aveva mollato il bastone-mitra che usava per sparare e picchiare la vegetazione, Lele provava a seguirlo, io li tenevo guardati con un occhio, mentre con l’altro guardavo la mia compagna ed Elisabetta salire a pochi passi dietro di me.

Il sentiero continuava così, saliva e scendeva, saliva e scendeva, alcuni tratti particolarmente ripidi e stretti incutevano un po’ di timore e tutta la comitiva mi faceva notare la fatica che faceva.

Ad un certo punto il sentiero risaliva un piccolo Rio ed arrivava ad una cascatella artificiale, in cima diverse persone stazionavano davanti al manufatto in sasso che aiutava l’acqua a scendere verso il Dardagna. Era un incrocio, salendo si andava nuovamente verso Madonna dell’Acero, guadando a destra il Rio si proseguiva verso le Cascate.

Bisognava guadare.

Ero già pronto a prendermi una valanga di nomi quando vidi Federico già di là dal Rio mentre una coppia con bambina ci chiedeva se scendendo si arrivava alle Cascate.

“No se scendete vi allontanate, dovete guadare con noi e proseguire lungo il sentiero.”

Mi chiedevo dove sarebbero arrivati senza di noi, mi chiedevo quanta gente avremmo trovate alle Cascate e mi chiedevo se la Montagna era veramente per tutti. Molte risposte già le conoscevo.

Quel guado diede una spinta di avventura alla passeggiata, aveva due passaggi, uno fatto di vegetazione caduta, e due piccoli arbusti a far da Ponte, e uno, come disse Lele, “surfando” sui sassi che uscivano dall’acqua. Lele decise di surfare e le ragazze lo seguirono, io li precedetti dall’altro passaggio e mentre Lele surfava su un sasso dondolante della cascata recuperavo sua madre, anche lei divertita.

Scendevamo dalla cascatella e proseguendo dentro il bosco, eravamo di nuovo di fianco al fiume, il bosco era aperto e luminoso, era un tratto molto bello che si interrompeva con uno strappo in salita. Le cascate erano vicine, lo sentivo dal rumore nel fiume e ancor di più dal vociare della gente.

“Ci sarà il mondo alle Cascate?”

“Come fai a dirlo?”

“Si, sente il brusio della gente ma soprattutto guarda in cima, guarda la gente che scende da Madonna dell’Acero.”

Eravamo nell’ultimo tratto duro del sentiero, un lungo dritto che riportava nel sentiero che parte dopo il Santuario, in cima saremmo scesi e arrivati in due minuti alle Cascate. Una processione di persone scendeva verso di esse, noi salivamo ma la fatica cominciava a sentirsi.

“Dopo non torniamo di qua vero?”

“No?”

“Non c’è un’altra strada?”

“Elisabetta ha ragione, non possiamo tornare da Madonna dell’Acero?”

“Va bene dopo torniamo dalla strada con una piccola scorciatoia in mezzo al bosco”

“Le tue scorciatoie non sono affidabili.”

Parlavamo e intanto eravamo arrivati in cima e cominciavano a scendere.

Lele era in trepidazione voleva vedere il salto dell’acqua dell’ultima cascata.

Quando gli apparve davanti spalancò gli occhi e esclamò:

“Che bella!”

Ne era valsa la pena, con piccole soste eravamo arrivati da Cà Corrieri alle Cascate in poco più di due ore, i chilometri sfioravano i sette, pensavo meno, ma eravamo stati veramente bravi.

Il ponte era pieno di persone che fotografavano, dall’altra parte una comitiva di scout aveva occupato il bosco, il sentiero delle sette cascate per il Cavone brulicava di viandanti più o meno attrezzati.

In riva al fiume vicino alla cascata invece era libero, stendiamo un telo e ci sediamo, Federico intanto scalava i massi per raggiungere la cascata e si adagiava su uno di essi. Gli tiro il panino e comincia a mangiare, io e la mia compagna intanto rinfreschiamo due belle birre in un rivolo d’acqua che scappa dalla cascata principale. Normalmente la festa della birra si Lizzano era una tradizione a cui non potevamo mancare e nonostante l’annullamento causa Covid noi ci eravamo organizzati per festeggiarla lo stesso. Una bella birra gelata rinfrescata dalle acque del Dardagna dopo il panino era una vera festa, oltre ad essere più che rigenerante.

Finiti i panini i quasi ex bambini si avventuravano verso la cascata per arrivarci il più vicino possibile.

La mia compagna non guardava io invece li ammiravo avventurarsi e divertirsi, anche Elisabetta sorrideva e fece due volte il giro provando nuove vie per arrivare vicino alla vasca.

Andai anche io e mi affiancai a Federico che fisso guardava la vasca della cascata.

“Che voglia di fare un bagno.”

“Effettivamente Fede anche io, ma ho paura non sia il giorno giusto.”

L’Afa della camminata aveva lasciato spazio al fresco che la cascata regalava con la sua potenza, leggeri schizzi ci bagnavano le caviglie e l’umido appiccicoso aveva lasciato spazio a quello bagnato e fresco del Dardagna.

“Io adesso scendo e provo a mettere i piedi in acqua, se riesco a tenerli poi mi tuffo.”

“Dai Fede proviamo.”

La prova durò solo pochi secondi, giusto il tempo per non sentire più i piedi e tirarli fuori per salvarli dal congelamento.

Una volta asciugati guardavamo la gente salire e scendere da e verso il Cavone.

Non era proprio la montagna che piaceva a me, non era quella del giro che qualche mese prima avevamo fatto dal santuario alle Cascate e poi fino al Cavone soli io e lei, senza incontrare nessuno, immersi nel bosco e nelle nuvole basse del Cavone.

Dopo aver messo i ruschi negli zaini ripartiamo subito per Madonna dell’Acero. Li ci saremmo un po’ riposati all’ambra del Santuario.

Mentre salivamo il sentiero alcuni bambini, che non avevano più di 6 anni, parlavamo fitti ad un tornantino. Parlavamo convinti di Star Wars, Jurassic Park, MineCraft.

Li superammo guardandoli, e loro guardandoci, ci seguirono.

“Scusa amò, quanti figli abbiamo?”

“Tre, in teoria.”

“Perché ora sono sette?”

Il santuario distava solo una mezz’oretta di cammino forse meno, ma il riposo appariva lontano come un miraggio.

 

Foto di Enrico Pasini

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