La nostra comitiva arriva al Santuario.

Quanto durerà il riposo prima di ripartire?

“Che ore sono?”

“Sono le 13 30.”

“Che ore sono?”

“Sono dieci minuti in più rispetto all’ultima volta che me lo hai chiesto.”

“Che ore sono?”

“Non te lo dico più, il prossimo segnale orario sarà tra un ora Elisabetta.”

“Ma perché?”

“Perché così non passa più e non vedo l’esigenza di sapere che ore siano!”

Eravamo a pochi minuti dal Santuario. Con noi i bambini intrusi facevano avanti e indietro continuando a parlare delle loro avventure, di quelle di Jurassic World, di Fortnite, di Mine raft. A volte ci sembrava di essere nel film dei Gunnies, altre ancor peggio in una puntata di Stranger Things. Per Federico e Lele stavano dicendo un sacco di baggianate, tutte invenzioni, un mischione di fantasia e verità, un’accozzaglia di inesattezze. Serviva a poco fargli capire che erano piccoli, e serviva solo a renderli ancor più anticipatici fargli notare quanto erano bravi e veloci nel camminare. Ogni tanto un genitore li richiamava e li costringeva a fermarsi, aumentando il loro scontento sulla lentezza degli adulti.

Intanto una signora urlava ad un amico di fermarsi, aveva trovato un porcino, secondo lei, un porcino con la cappella viscida, senza spugna e con le lamelle. L’amico esperto la fermava e gli faceva posare quel fungo che tutto era tranne che un porcino. Mi chiedevo chissà quanti stavano raccogliendo funghi che potevano tranquillamente lasciare a sedimentarie il bosco.

A Madonna dell’Acero non c’era un posto per parcheggiare, l’avevo già capito risalendo il bosco, dalle Cascate, guardando in alto la strada del Cavone spesso vedevo macchine parcheggiate ai lati, appoggiate lì sul bordo del bosco davano l’impressione di poter rotolare verso di noi da un momento all’altro.

Nella casa di fianco al santuario molti ragazzi giocavano, chi a biliardino, chi a rincorrersi, chi a nascondino, un vento di allegria e rinascita che spazzava via i mesi rinchiusi in casa, a cercare di far lezione on line e cercando di non farsi vincere dalla noia e dall’ansia.

Noi però avevamo bisogno di riposarci un pochino e mandare giù i panini trangugiati alle Cascate. Il muretto che dava sul pratone del santuario era perfetto, ci sedemmo lì, appoggiamo gli zaini per terra e mi tirai fuori anche il Fatto Quotidiano da leggere. Mentre leggevo i quasi ex bambini origliavano una loro coetanea disperarsi in lacrime al telefono con qualche familiare, probabilmente la madre, implorando di andare a riprenderla.

L’ascoltavano e probabilmente la capivano e l’appoggiavano.

Rimasero in silenzio tutto il tempo della chiamata, più o meno dieci minuti e finita Federico mosse il mio giornale mentre finivo nello stesso momento il primo articolo.

“Andiamo!”

“Andiamo?”

“Andiamo?”

“Siamo seduti da 10 minuti neanche!”

“Che ore sono?”

“Volete andare già adesso? Ci riposiamo ancora un pochino?”

“Che ore sono?”

“Si, dai ragazzi stiamo qui ancora un attimo.”

Anche Lele cercava di appoggiare noi grandi, ma i risultati erano veramente scarsi.

“Ma che fretta avete si sta benissimo.”

“Tu stai zitto, che ore sono? Mi rispondi?”

“Se non ti rispondo vuol dire che non è passata un ora dall’ultima volta che me lo hai chiesto.”

“Sei maleducato, rispondimi.”

Guardavo la mia compagna mentre riponevo il giornale nello zaino e lei chiudeva il suo. Senza dirci niente ci alzammo e partimmo. Nel mentre due suorine si incamminavano verso il Santuario.

Il vecchio acero dell’apparizione, sostenuto da un’impalcatura che lo aiutava a godersi ancora il vento dell’Appennino, dopo secoli di solitudine ora era in compagnia di un giovane acero, appena piantato come simbolo di continuità ma anche di rinascita costante.

Eravamo sotto di loro ad ammirarlo quando le suorine entrarono nel Santuario, noi come a dare cambio ripartimmo.

Il ristorante di Augusto era pieno, i nuovi tavoli che tagliavano metà strada ribollivano di allegria e spensieratezza di giovani compagnie. Li guardavamo con un po’ di invidia e con il panino che era già un bel ricordo. L’idea di ristringere la strada per dare dei tavoli al ristorante ci piaceva, ci fossero stati parcheggi in più sarebbe stato bello chiuderla del tutto e lasciare il santuario immerso nella bellezza dei boschi del Corno.

Camminavamo verso la strada mentre molte auto scendevano dal Corno verso valle. Il cielo era sereno, e c’era una bella aria ad accompagnarci verso casa.

“Fermi bimbi adesso scendiamo da qui.”

“Tu non ci chiami più bimbi. E io non sono sicura di seguire le tue scorciatoie.”

Imboccai il sentiero e cominciai a scendere.

 

Foto di Enrico Pasini

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