Dov Yirmiya^J il Giorno^J dopo^J della Memoria^

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Non voglio essere frainteso, ma, sinceramente, tutti, questi giorni “dedicati”, cominciano a stancarmi. Non perché non servano, o forse non possano servire, ma perché alla fine così esasperati, rischiano di essere inflazionati.

Ieri era il giorno della Memoria, ricordare è importantissimo, ricordare quello che è successo di così brutto, l’altro giorno, lo è ancor di più. Ma serve?

Sta servendo?

Servirà?

O sarà deleterio?

Sono domande che mi rimbalzano dentro, con anche molta violenza, da farmi dubitare della loro utilità. Le risposte a queste domande possono essere tante, positive e negative, ma non è di questo che voglio parlare.

Voglio andare avanti e provare ad andare al giorno dopo del ricordo. Voglio portarvi alla prova di cosa serve il ricordo, o forse, a cosa dovrebbe servire.

Vi porto in Israele, vi porto nel pensiero di Dov, nel suo diario, nel suo diario di guerra, una guerra vera ma anche una guerra interiore.

Dov Yirmiya se è andato a 101 anni nel 2016, pochi giorni dopo il giorno della memoria, nel silenzio, un silenzio che riecheggia ancora oggi, lo stesso silenzio che c’è ad Auschwitz, lo stesso silenzio che ho sentito nella casa di Anna Frank, un silenzio assordante, che mette brividi, e studiando la storia di Dov, brividi veri, di paura e ancor peggio, di sconforto.

Come è facile perdersi sfogliando i libri. Che siano in una libreria, in una biblioteca o in un mercatino, l’odore di quelle pagine scritte e i colori delle loro copertine fanno sembrare il tempo immobile nonostante in realtà, le lancette dell’orologio stiano galoppando.
Poche pagine, la copertina marroncina e una macchia rossa verticale che l’attraversa, quasi a sembrare sangue sgorgante, ma che in realtà raffigura una nuvola di fumo procurata da un’esplosione.

“Il mio Diario di Guerra”, “Un Colonello israeliano narra la sua esperienza da soldato e di pacifista nella guerra del Libano e denuncia il razzismo d’Israele.”

Il Colonello e autore è Dov Yirmiya o Yermiya in Ebraico.

Comincio a leggere il libro e già dalla prefazione le parole del Colonello entrano in me come pallottole sparate a distanza ravvicinata. Violente nella semplicità del racconto di esperienze cruenti e disumane. Ma sono pallottole che non uccidono, bensì mi aprono gli occhi, il cuore e la mente. Se non sapessi che il diario narra le esperienze della guerra del Libano, nell’Estate del 1982, potrei tranquillamente credere che tutto è ambientato nei nostri giorni.
Mi addormento alla sera, dopo aver letto le solite due pagine prima del dolce dormire, con il cuore diviso. Da una parte, la speranza, nel leggere quello che Dov è riuscito a fare, dall’altra, la rabbia, per quello che gli è stato impedito. Ordini, accuse di tradimento, infedeltà, il tutto con un unico scopo, non aiutare le popolazioni conquistate a sopravvivere. Ordini e accuse a cui Dov Yermiya non ha mai dato ascolto, ma che ora tutti noi stiamo pagando a caro prezzo, trent’anni dopo.

Più vado avanti più rimango, e non è forse la definizione migliore, disarmato.
L’attualità nel racconto di quell’estate in Libano trent’anni fa, mi rimbomba in testa, come bombe che esplodono al fianco.
Parole e frasi presenti nel diario riecheggiano da ormai 30 anni, o forse da ancor prima e arrivano ai giorni nostri ancora troppo comprensibili, addirittura maturate, nella loro violenza, nella loro tragedia, nella loro infinita tristezza, e troppo acerbe e solitarie nella fermezza di Dov nel portare avanti una giusta lotta per la pace.

Ma quando si parla della lotta del Popolo Palestinese e del suo diritto all’indipendenza e di un suo proprio Stato a fianco di Israele e finché la sua lotta non pregiudica innocenti civili, accetto la definizione di combattenti per la libertà.

“…anche questa volta potrò essere d’aiuto nell’alleviare un po’ le sofferenze e potrò influenzare qualcuno dei nostri soldati ed ufficiali ad essere degli esseri umani o almeno un po’ meno animali.

Sulla via del ritorno incontro una carovana di profughi che tornano in città ed al campo. Ancora una volta mi ricordo lo spettacolo dei miei anni di guerra in Italia. È così simile.

…ho pensato agli ufficiali ed ai soldati che continuavano a far critiche crudeli e ciniche a spese della popolazione sofferente…
Abbiamo ancora ufficiali come Zeli e suo figlio tra di noi m sembra che ce ne siano troppo pochi. Sembra che il veleno della guerra sia penetrato nelle menti e nei cuori di molti che non l’approvavano all’inizio.

“Ti dai tanto da fare in tutta la città, per tutto il giorno, nonostante te lo avessimo vietato. Stai mettendo in pericolo te stesso. Meglio che muoiano 1000 arabi piuttosto che sia ucciso uno dei nostri soldati. ”Bisbigliai sommessamente tra i denti: “Va all’inferno signor Comandante”.

Gli dico  che con questa guerra, noi Israeliani abbiamo fornito la legittimazione e la spinta decisiva per l’instaurazione di una Stato Palestinese ostile, invece di favorire l’instaurazione di uno Stato Palestinese amico.
…distruzione e Morte continuano ed essi “accolgono la regina Sabato” come se nulla fosse accaduto. Li odio. Mi vergogno di appartenere a questa nazione, arrogante, accondiscendente, crudele, che canta sull’orlo della distruzione.

È come se i vigili del fuoco tornassero in vita col mio ritorno. Si comportano come se fossi il loro comandante o il loro padre. Lavoriamo fino a sera. Quando sono con me non hanno paura della notte. Sanno che starò con loro fino alla fine e che farò tornare ogni uomo a casa propria…

Le domande del ministro, e le sue risposte…ignoranza, cinismo e crudeltà. Quando gli si chiede qual è la politica nei confronti dei profughi palestinesi, risponde: ”Dobbiamo spingerli (lo indica con un gesto delle mani) ad est, verso la Siria. Facciamo in modo che vadano là e che non ritornino.

“Voi distruggete tutta la nostra buona volontà. Perché?” Cosa gli dovrei rispondere? Che siamo diventati degli Animali?

“Dov quello stiamo facendo qui e allevare, con i nostri errori ed i nostri fallimenti, la prossima generazione di Palestinesi e libanesi pieni di odio che ci combatteranno fino all’eternità!”

Ho Finito di leggere il libro il 2 Febbraio e subito ho cercato informazioni su questo grande Soldato Pacifista.
Ma poche sono state le pagine di risultati trovati in rete. Quasi tutte in Inglese e in Ebraico. La più completa la pagina di Wikipedia che risultava modifica da poche ore

Dov Yermiya classe 1914 è stato uno dei protagonisti della guerra d’indipendenza d’Israele nel 1948. Ha combattuto praticamente tutte le guerre che Israele ha affrontato fino al 1982 anno in cui fu esonerato, cacciato, dalle forze di difesa Israeliane. Volle raccontare quello che le forze armate d’Israele riservavano alle popolazioni conquistate. Nessuno voleva pubblicare il suo diario, ma Dov andò avanti da solo e se lo auto-pubblicò. Aveva 68 anni ma non pensò di andare in pensione e si arruolò come “volontario nella guerra contro il razzismo.”

Dov Yermiya è morto il 30 Gennaio del 2016, (2 giorni prima che finissi di leggere il suo diario), all’età di 101 anni, circondato da quel silenzio che a regola d’arte gli avevano creato intorno. Un silenzio a cui non si è mai piegato.
Era il 2008 quando fu invitato all’anniversario della Fondazione dello Stato Israele, per cui aveva combattuto e ancor prima creduto aiutando tanti profughi ebrei a lasciare l’Europa.
A 94 anni rispose così all’invito:

“Ho ricevuto il Suo invito elegante ai veterani della guerra del 1948, inviatomi in occasione del 60esimo anniversario della fondazione dello Stato d’Israele, con lo slogan ‘Lo Stato d’Israele Le esprime la sua  gratitudine’.

Come veterano della guerra del 1948, rimasto ferito due settimane prima della Dichiarazione d’Indipendenza dello Stato, mi sento in dovere di
rinviare il Suo invito al mittente, al Ministro della Difesa.

Mi dispiace compiere questo gesto, ma il mio senso di dovere non mi lascia altra scelta.

Ritengo che Lei, Ehud Barak, essendo uno dei più alti gradi del comando militare nonché uno dei protagonisti politici prominenti, sia responsabile per avere trasformato l’esercito da una ‘Forza di Difesa Israeliana’ in un esercito d’occupazione ed oppressione a danno del popolo palestinese ed in una forza a difesa delle colonie criminali in terra palestinese.

Quarant’anni d’occupazione hanno corrotto fin’ in fondo l’esercito israeliano così, come tutti gli strati della società israeliana. Sia l’esercito che la società sono invasi dal ‘vento dell’est’ che soffia e fa scoppiare incendi e guerre senza fine, guerre che minacciano il nostro popolo ed il nostro territorio avviandoci alla terza e finale distruzione.

Ritenendo che il Suo contributo a tutto ciò sia enorme, mi sento obbligato a ritornarLe il Suo invito, senza alcun ringraziamento.

Dov Yirmiya, Naharia”

Questo è il ricordo, questo significa ricordare e imparare dal ricordo.

Stiamo veramente ricordando?

Quanti dubbi.

Non ci vorrebbe molto a questo Mondo per avere più Dignità, Giustizia e Pace.

Basterebbero solo più Uomini, uomini come Dov Yirmiya.

 

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