Articolo e foto di Enrico Pasini

 

Otto giorni senza bici, per chi è abituato a pedalare ogni due giorni, sono un lasso di tempo infinito. Come una clessidra, la gamba si svuota, la voglia aumenta. Quando si riesce a girare la clessidra è la voglia che ti fa pedalare e riempie la gamba, anche se solo apparentemente.

L’aria è già calda alle sette e trenta, ma è comunque sempre piacevole su queste montagne, e la sosta alla fontana de La Cà è più un piacere che un obbligo.

La discesa verso la Masera, e verso il Fondovalle, è occasione per godermi il fresco del bosco e fare girare la gamba, leggera, per prepararla alla salita che presto arriverà.

Salire verso Sestola da Trentino può sembrare volermi male, invece è solo uno sfogo di puro godimento.

Dal centro del piccolo borgo, fino ad un chilometro da Poggioraso, la strada sale cattiva, sinuosa come un serpentello che si arrampica lungo le rocce. Un paio di chilometri, ma che quasi mai scendono sotto il 13%. Cerco di non spingere, è solo l’inizio della giornata in salita e quello che verrà sarà peggio.

Sestola è già sveglia, i bar cominciano a riempirsi, e le cucine ad emanare odori che invitano a fermarmi più che a pedalare. Mi perdo nelle viottole del paesino modenese in cerca di quella strada che porta a Pian del Falco in mezzo al bosco, fresca e soprattutto chiusa alle macchine. Non la trovo e allora prendo la principale che già conosco bene e che so mi farà soffrire.

Fino a Pian del Falco sale costante sopra il dieci %, il sole scotta e mi scioglie tutti i sali minerali che ho in corpo. Il traffico comincia ad essere intenso, tutti in cerca di un fresco che è raro quanto l’oro. Mi pento di non aver insistito nella ricerca di quella bella stradina e così, a Pian del Falco, provo a trovarla al contrario e ci riesco con successo. Grazie a Google Maps riesco anche a capire da dove prenderla da Sestola alla prossima occasione.

Salgo ancora, con calma e agile nonostante la salita fino a Passo del Lupo sia molto più agevole. Godo della vista di tutto l’Appennino Bolognese da quassù, il mio Corno Alle Scale è inconfondibile, nonostante l’afa lo renda così lontano e sfocato. Scendo al Lago della Ninfa e da qui, svoltando a destra, prendo la forestale militare che comincia a salire, tornante dopo tornante, verso Pian Cavallaro.

La stretta strada sale tra il 6 e l’8 % , molti sono i turisti che la percorrono a piedi, diretti alla cima del Cimone fin su all’osservatorio.

Il primo tratto nel bosco è fresco e quasi buio, mentre gli ultimi tre chilometri sono tutti al sole, arrotolati nella montagna fin sotto all’osservatorio meteorologico militare dell’Emilia Romagna. La stanga che delimita il parcheggio della casa dei militari, coincide con la fine dell’asfalto. Da qui si prosegue solo su sentiero e a piedi. Soddisfatto guardo i camminatori salire, pensando che prima o poi anche io salirò a piedi fin ai duemila metri del Cimone.

Sono ormai più di due ore che pedalo e, a parte i primi dieci chilometri di discesa, tutto il resto è stata salita. Sono 45  i chilometri percorsi fin qui e più di 1600 i metri di dislivello. Un giro in Mtb non agevole.

Scendere verso il Lago della Ninfa è semplice, come fermarmi alla fontana a metà stradina a riempire le borracce. Meno semplice è scendere verso Canevare e Fanano. Dal Lago agli impianti del Cimoncino la strada è parecchio rovinata, ma anche dopo, fino a Canevare e a scendere in picchiata verso Fanano, l’asfalto non è certo dei migliori.

Mi godo l’aria fresca di questa montagna che dalla pianura sembra un panettone nel nulla, ma da Canevare l’aria cambia e quando la montagna gira versante e la strada prosegue verso Nord il caldo e l’afa delle città in pianura cominciano a sentirsi.

A Fanano i gradi son più di trenta, so che per la Masera ci sarà da sudare parecchio, e infatti appena attacco la salita l’asfalto comincia a cuocermi come il forno un branzino al sale.

Arrivo davanti a Rocca Corneta e mi fermo a fotografarla. La Rocca svetta maestosa tra il verde imponente che un inverno finalmente nevoso ci ha regalato.

Salire verso la Masera sarebbe fin troppo semplice nonostante il caldo, così prima di entrare in paese svolto a sinistra su Via Montorso.

I primi chilometri, cattivi quanto i tafani che penetrano la mia maglia e bucano la mia schiena, sono solo l’antipasto di una salita che gira il Belvedere, scende e risale verso Querciola, dominando i monti della Riva, stupendi come sempre sanno essere.

I chilometri ormai sono vicini ai novanta e il dislivello ha superato i 2000 metri, ma l’orologio e il livello personale di energia mi dicono che è ancora possibile fare un poco di fatica.

Farnè-La Cà è la salita perfetta per svuotare i serbatoi, tra fatica e refrigerio della selva appenninica le gambe pian piano cominciano a indurirsi e la voglia dal faticare passa al sogno di un piatto di tagliatelle e un bicchiere di vino.

90 chilometri e 2300 metri di dislivello, con la possibilità di allungare ancora un poco e sforare tranquillamente i 3000 metri.

Lo spiego ai miei amici, che in poco mi informano di salire in settimana per rifarlo.

La voglia torna e anche la cattiveria.

Lo rifaremo, al contrario, e arriveremo a LaCà decidendo se mangiare tagliatelle e bere vino, o mangiare tigelle e bere birra.

Giusto per non farsi troppo del male!

 

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