Appennino e coronavirus – Vivere a Pianaccio

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Pianaccio – foto di Luigi Riccioni

 

Alle prime avvisaglie dell’infezione in Italia, mia moglie ed io, abbiamo preso i due nipoti rispettivamente di 5 e 2 anni e ci siamo recati a vivere nella casa di Pianaccio. Facendo i genitori un lavoro a contatto con il pubblico, ci è sembrata la soluzione migliore. Purtroppo abbiamo avuto due settimane di condizioni climatiche avverse che ci hanno obbligato a stare quasi sempre in casa. Non essendo una abitazione con ampi spazi e con collegamenti interni con rampe di scale, comode ma alla lunga disagevoli per il più piccolo, abbiamo dovuto ritornare a Bologna nel nostro appartamento in centro, più ampio e senza scale interne.

Arriviamo ai rapporti con la comunità. Con i pochi abitanti di Pianaccio, poco propensi, specialmente in questi tempi, a fare viaggi extra paese, i rapporti sono stati quelli di sempre. Le spese le abbiamo fatte a Lizzano. Praticamente solo generi alimentari. Dato lo scarso affollamento, non ho notato particolari timori. Vi è poi da dire che il bubbone è scoppiato in maniera drammatica in questi ultimi giorni, dopo il nostro ritorno a Bologna. A mio avviso l’Appennino potrebbe essere usato da chi ha la seconda casa, quale zona rifugio, ma con le stesse identiche precauzioni consigliate ovvero starsene in casa, uscire con le dovute precauzioni solo per obiettive necessità.

Se poi si ha a disposizione un giardinetto o un po’ di bosco ed il tempo non è inclemente, possiamo dire di potersela cavare con meno patema d’animo. Resta comunque irrisolto il problema lavoro e risorse per il mantenimento. Viene da pensare ai giovani ambosessi del Decameron di Giovanni Boccaccio isolatisi per sfuggire al contagio della peste nera del 1348. Oggi però gli spostamenti ed i contatti sono così facilitati e frequenti che la sicurezza dell’isolamento deve essere veramente totale.

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