Foto Vergatonews

 

L’Appennino bolognese non finisce mai di sorprendere!
A Vergato, sul bivio per le meravigliose grotte di Labante, si trova una delle più antiche e
importanti sezioni di Tiro a Segno Nazionale: in quanti sapevano che non ha mai chiuso
(neanche dopo il fermo istituzionale del 2015)? Già, purtroppo pochi conoscono le attività di questo punto di forza del territorio: la disinformazione è decisamente troppa.
“Vieni a fare un giro in Sezione, non te ne pentirai!”, mi avevano promesso: naturalmente
non potevo rifiutare e così mi sono messa in viaggio, sia con la macchina che col cuore.
Quando narri una storia non importa quanti appunti prendi, non puoi dire solo quello che
pensi sia o ciò che credi fosse: devi sentirne l’anima, catturarne l’essenza, e per riuscirci
devi esplorarla, provarla, viverla; così, diventerai parte della storia stessa e sarai capace di
farla rivivere ancora.
Il poligono si trova poco fuori Vergato, a qualche minuto dal centro: in mezzo agli alberi del
parco che circonda la struttura rimbomba solo l’eco degli spari. Non è un posto in cui
normalmente si cercherebbe pace, eppure qui si sta bene: mi accolgono subito
calorosamente, come un’ospite lungamente attesa; non mi conoscono ma mi trattano già
come un’amica.

La sezione di Tiro a Segno Nazionale di Vergato nacque alla fine del XIX secolo come una delle più antiche della Valle del Reno: intitolata al campione vergatese Carlo Varetto, ha conosciuto una lunga scia di successi e conquiste (la vittoria della Team Cup 2010, il podio completo in quasi tutte le categorie al campionato italiano 2012 a Napoli e molti altri ancora); poi, nel 2015, è arrivato lo stop temporaneo alla parte istituzionale (per
intendersi, quella delle forze dell’ordine e dei retraining periodici), che tuttavia è tornata a
funzionare a pieno regime.

Il TSN è costituito però anche da una parte sportiva, la vera e propria squadra di tiro a segno, che pochi sanno essere ancora attiva.

“Il 2015 non è stato un anno facile, mancava anche il riscaldamento. Ci siamo allenati al freddo pur di continuare a incontrarci, non si poteva mica mollare!” mi dice Saverio, il presidente. Entrando in contatto con la loro grande “famiglia” (così si considerano e si definiscono), capisco perfettamente come sia stato possibile: è il calore umano che avvolge ogni linea di tiro ad averli riscaldati in quell’inverno di cinque anni fa. Visitando la parte storica dell’edificio, dedicata all’amministrazione, noto una “riunione” dall’atmosfera rilassata e amichevole, come se la burocrazia qui sfumasse in mera formalità: mi vengono passate un paio di cuffie protettive e facciamo un giro tra i tiratori. Ci sono bossoli sparsi per terra come nei film, barriere foniche alle pareti e personale che controlla il corretto svolgimento dell’attività e il rispetto delle normative anti-contagio: l’ambiente mi piace subito.

Passando sotto un arco in muratura, poi, vedo la grande bacheca di legno dove vengono affissi i risultati delle gare: il numero di categorie è impressionante e ce ne sono alcune riservate alle persone diversamente abili. L’area sportiva è più grande rispetto al resto della struttura e anche più vissuta: sembra di stare in uno di quei vecchi circoli tappezzati di trofei e fotografie storiche.
Sui ripiani in alto conto 77 coppe ma mi dicono che ne mancano diverse perché “non
sapevano più dove metterle”; sotto, per i 25 metri di lunghezza degli impianti, campeggiano i ricordi di tutti quelli che sono passati da qui. “Noi lavoriamo per i ragazzi, cerchiamo di condividere i sorrisi e le lacrime”, mi racconta Saverio con una luce negli occhi che non è descrivibile a parole; percepisco la passione di ogni allenatore a primo impatto.

“Siamo un bel gruppo e da fuori si vede! È impossibile isolarsi, se vai per stare da solo non sai cosa vuol dire stare in poligono”, mi dicono. A questo punto il mio giro turistico è finito, rimane solo l’atto pratico: provare a sparare. Agnese, una delle ragazze, mi accompagna e mi assiste in ogni momento: mi chiede se ho mai fatto qualcosa di simile ma…è la prima volta che entro in un poligono, che imbraccio un’arma e che sparo un colpo. Mi sento sicura
perché mi hanno spiegato che le armi si spostano solo dall’armeria alla linea di tiro e
viceversa, che la segnaletica di sicurezza è sempre presente, che le armi sono depotenziate
e che l’allenatore non si sposterà dal mio fianco in nessun caso. “La prima regola è che devi
sempre considerare l’arma come fosse carica e quindi essere molto cauta”, continuano,
mentre miro con il pallino in canna.

L’impianto è dotato di una tecnologia avanzata per rilevare le caratteristiche del colpo e garantire la sicurezza assoluta degli atleti; inoltre la Sezione fornisce tutto il materiale necessario per allenarsi e gareggiare.

L’età minima per praticare questo sport è 10 anni: si inizia con le armi ad aria compressa e, una volta presa una certa confidenza, si può cominciare con quelle a fuoco (se si hanno almeno 16 anni). Le specialità sono due, carabina e pistola: si può sparare rispettivamente da 10 o 50 metri nel primo caso e da 10, 25 o 50 nel secondo. Non faccio così pena, in fondo potevo andare peggio: colpisco anche un centro.

 

“La precisione dei proiettili dipende da te; il tiro a segno è un’analisi di te stesso che compi ogni volta che guardi il bersaglio. Devi lavorare su te stesso e sulle tue capacità di concentrazione, autocontrollo, determinazione”, afferma Agnese mentre riponiamo il fucile nella custodia. “Ti fa guadagnare autoconsapevolezza, è un dialogo interiore in cui sei portato a lavorare sui tuoi limiti, carenze e paure“.

La mia impressione è quella di uno sport completo a 360°: per riuscire devi stare bene mentalmente e fisicamente, seguendo la famosa massima mens sana in corpore sano. “Quando spari sei nella tua bolla, stacchi dai problemi: ci sei solo tu, la tua arma e il tuo bersaglio”, aggiunge lei, mentre mi mostra le immagini dei vari campus annuali, un’iniziativa della durata di 5 giorni che il TSN di Vergato propone ogni estate raccogliendo circa 60 ragazzi provenienti da tutt’Italia, a cui collaborano tutti i soci con grande efficienza nel servire i pasti a tutti i partecipanti: “Ce ne sono un sacco che serbano nel cuore il ricordo della cucina emiliana che hanno provato durante il campus”, continua Agnese.

Scopro poi che la Sezione offre anche specialità nuovissime come il target-sprint (una sorta
di biathlon fatto di corsa e tiro a segno) e il mixed team, una possibilità allettante per le
coppie che vogliono instaurare una sinergia forte, dato che si tratta di una specialità basata
sulla reciproca collaborazione (forse un’alternativa originale al classico latino americano).
“Adoro questo sport perché quello che impari qui lo porti con te nella vita di tutti i giorni, ciò che fai è tutto merito tuo, sia gli errori che i successi” mi spiega Giacomo, il “pulcino” della squadra; sua madre, con disponibilità e cortesia, accetta di rispondere ad alcune domande dal punto di vista del genitore. Le chiedo se non pensa che questa disciplina sia pericolosa, dato l’utilizzo di pistole e armamentario vario: “Hai detto bene, questa è appunto una disciplina formativa! C’è grande cura e rispetto verso le armi, non porta a diventare violenti ma anzi, fa il contrario: insegna ad avere consapevolezza dell’arma e a non usarla in modo improprio. Competi con te stesso per migliorare le tue prestazioni, non contro il tuo avversario”, mi spiega. Quando le chiedo se è felice della scelta del figlio, non esita: “Lo sono e parecchio. In un altro poligono non avrebbe trovato un clima simile…qui c’è una famiglia, ci si sente a casa. Non si è mai forzati a fare qualcosa solo per agonismo; lo sport è individuale ma qui c’è una vera squadra.”

Il gruppo è compatto e anche un’estranea come me se ne rende conto: nonostante ci siano due allenamenti (uno infrasettimanale e uno il sabato) con una gara la domenica, la priorità assoluta è naturalmente la scuola per i ragazzi del TSN. Le gare sono regionali e si sta tutto il giorno insieme con nuove persone in un ambiente esterno, gli allenamenti sono in gruppo e isolarsi è quanto di più difficile si possa fare.

Esco dal poligono appagata, con il mio bagaglio culturale un po’ più pesante e ricco di
un’esperienza in più; mi regalano anche i bersagli di carta usati nella prova pratica.
Ho capito dagli sguardi di tutti qui, dalle loro parole nelle testimonianze commosse, che ci
tengono a questo posto; l’ho capito dalle domande di tutti i curiosi che, con un punta di
sorpresa, scoprono che il poligono è aperto e basta andare per provare e iscriversi: si tratta
di un’eccellenza del territorio, una perla appenninica da custodire e apprezzare.

 

Foto di Sonia Agnesi

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