Passeggiando sui colli bolognesi -1

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Quella casa era l’ultima testimonia rimasta della Vecchia corte del castello. Il castello non esisteva più già da quasi un secolo, abbattuto da un terremoto violento, uno dei più forti della storia nel Bolognese.

Al posto del castello sorgeva una chiesa, ora chiusa da qualche anno dopo che il parroco aveva raggiunto il suo titolare dall’altra parte del nostro credere.

In quella casa la primavera era stata generosa, senza uomini, costretti a rimanere rinchiusi nelle loro tane, le rose erano cresciute rigogliose in ogni vecchia mura dell’antica corte, rose di ogni razza e di ogni colore, indirizzate dal lavoro di sapienti mani, con forza avevano abbracciato la vecchia casa e l’avevano sorretta, in quel momento abbandonata, da tutto e da tutti.

Loro le avevano viste quelle rose, le avevano accarezzate, fotografate, varie volte erano evasi solo per poterle andare a vedere, incoraggiare nella loro crescita, si facevano scortare da loro in quella fuga momentanea da regole imposte, giuste ma anche soffocanti.

Passarono accanto alla vecchia casa quando il campanile suonò le dieci di mattina. Era già Giugno, era il suo primo giorno e il sole scaldava senza bruciare il grano che, lentamente, prendeva il colore di un tesoro antico quanto la terra che stavano calpestando.

Proseguirono con ancora l’odore del caffè sulle labbra guardandosi e sorridendosi a vicenda, passarono l’agriturismo in vetta al colle e arrivarono in fondo alla strada entrando nel bosco dallo stretto sentiero che come porta aveva due massi ben allineati.

Lui davanti faceva strada nella penombra del bosco, i raggi del sole filtravano tra i rami e come luci in una galleria illuminavano i loro passi precisi e veloci in quel primo tratto di discesa.

All’uscita dal sentiero altri due massi ben allineati gli facevano da porta per il ritorno sulla strada che non esisteva più ma che tanti uomini aveva visto passare da lì. Era il punto in cui l’Appennino finiva e si buttava nella pianura, una pianura che terminava contro il muro alpino che spesso da quella porta si vedeva, ma che quel giorno l’umidità di perturbazioni passate, e di un accenno d’estate, avevano oscurato.

La fece passare davanti per scattare alcune fotografie e ripartì, lei davanti camminava spedita verso le antenne. La guardava camminare con quel sedere meraviglioso che a lui faceva impazzire. Gli sporgeva dalla schiena e finiva nelle sue lunghe gambe che lo esaltavano ancor di più, la raggiunse e l’accarezzò sulla schiena sfiorando l’osso sacro e finendo mano nella mano, la baciò.

Scesero lungo la strada che diventava vera all’altezza di un casolare in parte ancora abitato, salutarono un contadino che stava curando le sue vigne con paterno amore. Camminavano mano nella mano ammirando gli splendidi colori che il passaggio tra primavera ed estate regala alla terra: il granturco che cominciava a luccicare colori ramati, le viti sempre più rigogliose e verdi, le ciliegie rosse pendere cariche dai rami e la Rucola a lato strada che profumava mossa dal vento.

Era solo l’inizio del cammino ma erano già in piena pace, scesero fin sul fiume, la strada diventava asfaltata e si buttava verso le rive del Samoggia, arrivati in fondo presero la stretta via e proseguirono fino al paese.

Monteveglio era già sveglio da un po’, il primo obbiettivo era stato raggiunto, il crinale che da Zappolino scendeva verso la pianura l’avevano percorso tranquillamente, senza faticare, ma di buona lena.

Ora c’era da salire all’Abbazia, la stessa che avevano osservato mentre scendevano, camminando con il pensiero che per pranzo sarebbero stati esattamente sull’altra collina. Era emozionante solo pensarlo ed estremamente motivante guardarla così piccola immaginando di arrivare a toccarla.

Ma prima dovevano pensare a cosa mangiare per pranzo.

Meglio un panino alla mortadella o un panino allo speck?

La sensazione di picnic quando apri lo zaino e l’odore di Mortadella che ti avvolge completamente è sempre qualcosa di incredibile, sono ricordi di vecchie passeggiate con i genitori, o della gita scolastica al parco preistorico. Però la Mortadella non è molto leggera e poi è meglio co, o senza i pistacchi.

Perché esiste anche la Mortadella con i pistacchi?

La Mortadella ai pistacchi non esiste come i Tortellini con il ragù.

Allora forse quello bello speck sul bancone in offerta, magari con una bella fetta di formaggio dentro a ricordare una sosta ad un rifugio alpino mentre un ruscello di acqua gelata ti scorre accanto.

Si guardarono dopo il lungo ragionamento in fila al bancone della gastronomia della Coop, si tirarono giù le mascherine e si baciarono.

Incurante dei divieti non si poteva vietare di amare.

Presero uno sfilatino ai semi con dentro cinque belle fette di speck. Senza formaggio.

Si incamminarono lungo i prati di SanTeodoro, l’abbazia lì guardava dall’alto e loro salivano con lo stesso passo che li aveva portati a Monteveglio.

Arrivarono sul primo tratto di strada dove il sentiero l’attraversava, presero subito l’altro tratto che la tagliava e si fermarono. Una signora si era completamente bloccata in una piccola curva in salita. Urlava al marito che non ce la faceva, che voleva tornare indietro, che era impossibile riuscire a fare quel tratto.

Si guardarono con un piccolo ghigno.

Ma il marito era più testardo della moglie, una testardaggine carica di amore e pazienza. Con una calma rara e di una dolcezza infinita, la incitò, tornò indietro alcuni passi e gli prese la mano. La signora si calmò fece un piccolo passo e poi un altro e un altro ancora e finì tra le braccia del marito che la fece passare e insieme proseguirono il sentiero.

Anche loro proseguirono il sentiero, arrivarono nel punto dove la signora si era bloccata e il ghigno sparì. L’inverno secco che poca acqua e zero neve aveva regalato all’Appennino rendeva il sentiero, in quel punto particolarmente pendente, molto polveroso e sdrucciolevole. La signora era andata in difficoltà non certo per niente, loro con calma affrontarono la difficoltà e arrivarono sulla strada, proseguirono lungo di essa fino al bivio del sentiero che portava alla Chiesina della Beata Vergine e cominciarono a salire lungo lo sterrato che portava al piccolo oratorio.

Poche panche dentro di esso e l’immagine della Madonna di SanLuca al centro dell’altare. Quell’oratorio era un edificio abbastanza moderno costruito alla fine dell’ottocento e tenuto in malora fino agli anni ottanta, poi ristrutturato con passione e ora visibile a tutti e ben tenuto da parrocchiani di Monteveglio e dai pochi frati rimasti in abbazia.

In realtà in quel punto, anticamente, sorgeva una chiesa rimasta lì per molti anni e caduta in rovina poco prima della costruzione dell’oratorio. Di quella Chiesa ne rimangono le fondamenta su cui è costruito lo stesso oratorio. Era una chiesa dedicata alla Madonna della Pioggia che aveva un grande quadro appeso ad un albero protetto poco o niente dalle intemperie.

Sembrava poco considerato, ma forse quella poca protezione era voluta, quella Madonnina doveva vegliare sulla popolazione, far scendere la pioggia per coltivare i terreni, per poter avere acqua da bere, e lei la prendeva tutta quell’acqua e la benediceva, la santificava, prima di donarla ai suoi figli.

Passarono velocemente accanto all’oratorio che già conoscevano, presero quel ripido tratto di petto e arrivarono in cima davanti al cimitero, poco sotto la porta di entrata dell’Abbazia, con il fiatone.

Fu un gesto agonistico, forse non voluto, sicuramente spontaneo, che gli regalò un sorriso, l’ennesimo di quelle prime due ore e mezzo di camminata.

Erano davanti all’entrata dell’Abbazia, sotto la porta, guardavano la corte e il monastero in fondo, fermi, pronti ad entrare in un tempo passato.

Perché ogni volta che entravano nel vecchio borgo dell’Abbazia gli sembrava di tornare indietro nel tempo.

E quel tempo gli piaceva un sacco.

Le voci allegre di bambini scalpitanti e una chiassosa compagnia che visitava le torri di entrata invadevano l’aria fresca e azzurra di quel primo di giugno.

Entrarono nella corte e videro quei bimbi che entravano e uscivano da una casa all’altra, scappando, nascondendosi e rallegrando l’atmosfera già magnifica di quell’antico borgo.

La salita verso l’Abbazia è circondata da abitazioni antiche, tuttora abitate e vissute, nella modernità della nostra era, ma senza mai essere invadente.

La visione dei nostri tempi è data solo dalle automobili, che tristemente parcheggiate davanti alle porte di entrata, riportano a quello che siamo ora.

Lui era sempre infastidito dalla presenza ferma delle quattro ruote, quante fotografie rovinate per la presenza di quella latta appoggiata su gomme nere come lo sporco che producevano.

Quanto doveva essere bello il borgo quando non vi erano le automobili, quando lo spazio era più ampio e il camminare era il principale mezzo di locomozione. Forse in tempi antichi la scomodità e la lentezza di un cammino non era apprezzato come lo è ora, ma questo non vietò al borgo di essere visitato da migliaia di persone e chissà quante storie di amore e preghiera potrebbero raccontare quei muri, o quante scorribande e crimini avranno visto nella loro millenaria storia.

Arrivarono all’Abbazia quasi senza accorgersene ammirando le composizioni floreali che adornavano ogni casa, il prato davanti all’ingresso bene tenuto e la primavera in tutta la sua pienezza, rendevano ancor più magico quel luogo.

Misero le mascherine ed entrarono, lei si fece il segno della croce e si sedette su una sedia. Le regole imposte per quella pandemia avevano reso la Chiesa ancor più grande. Poche panche su cui potevano sedersi solo due persone, una a destra e una a sinistra, meno sedie, tutte ben distanti una dall’altra. Non tutte le restrizioni volute per evitare altri contagi erano negative. Alcune riportavano un po’ di ordine, e di educazione, al nostro nuovo vivere.

Lei rimase seduta in contemplazione del crocefisso, lui girò la navata e salì fin su all’altare. Da quando aveva letto i libri di Dan Brown ogni volta che entrava dentro ad una chiesa, o a un monastero, o a un qualunque grande monumento si metteva in cerca di simboli e figure, come fosse Robert Langond nel cercare un risolvere un nuovo mistero.

La prese per mano e proseguirono nella cripta sotto l’altare, la litania dei Frati che dicevano il rosario al di là del muro rendeva tutto ancor più mistico, mentre quei campanelli che ogni frate aveva per essere chiamato per una confessione regalavano un momento simpatico a quella visita.  Non si disturba mai per una confessione. Questo recitava il cartello vicino ai campanelli e loro erano d’accordo.

Uscirono nel sagrato e si incamminarono verso il Chiostro, nel retro della Chiesa. Chissà quante stanze dovevano esserci dentro quelle mura, chissà quanti passaggi segreti potevano essere nascosti dentro all’Abbazia, chissà a quanti uomini diede da bere quel pozzo.

Scesero lungo la stradina e si ritrovarono di nuovo all’ingresso del borgo, decisi proseguirono verso l’Abbazia, volevano sedersi all’ombra di un cipresso a mangiare il loro panino. Passarono accanto alla trattoria del borgo, due anziani signori che facevano i turisti forse speravano di trovare aperto.

Arrivarono alla panchina davanti all’entrata principale ma era occupata. Due ragazzi che leggevano su internet la storia dell’Abbazia vi sedevano. Non si disperarono e si sedettero sul muretto affianco.

Mangiarono con calma il panino osservando una coppia passeggiare per il sacrato. Lui, passati abbondantemente la quarantina, lei forse sotto i trenta. Al collo delle bellissime macchine fotografiche. Insieme fotografavano ogni particolare del borgo, lui le dava  consigli e lei provava a seguirli.

Loro li guardavano e origliavano, non erano una coppia fissa, non sembravano neanche molto intimi, lui con alle spalle già un bel vissuto ogni tanto tirava fuori un aneddoto delle sue esperienze. Forse erano al primo appuntamento, massimo il secondo, se era il terzo forse l’abbordaggio di uno dei due non stava andando a buon fine.

Fantasticavano sullo stato di quella coppia mentre anche lui, macchina fotografica al collo, cercava di capire che scatti avessero fatto. Una paio li rubò, anche se in realtà li aveva già messi in programma finito il pranzo. Sicuramente la coppia di fotografi non aveva notato i splendidi limoni che stavano crescendo nella pianta accanto alla porta di entrata del convento. Li fotografò lui e scesero verso l’uscita del borgo.

Scesero verso l’uscita ma prima di uscire salirono sulla porta. La vecchia torre ormai era diroccata, non vi erano più i pavimenti, le porte divelte e le finestre distrutte. Eppure non era da molto che non era più abitata, fino a qualche decennio prima veniva affittata e qualcuno con grande amore per quei luoghi la teneva ben curata e visitabile. La presenza dell’uomo può far bene, molto spesso anche l’assenza, ma in questo caso l’assenza pagava un brutto pegno.

Arrivarono sulla porta e guardarono a sud, laggiù c’era il calanco con il sentiero che da lì a poco avrebbero dovuto attraversare. Lei lo guardò e quasi non ci credeva che sarebbero dovuti arrivare lassù. Dalla porta il calanco si mostrava imponente, lo era realmente ma in quel momento le sembrava quasi irraggiungibile.

Ma niente è irraggiungibile, scesero, uscirono dal borgo e si incamminarono verso il calanco.

 

Foto di Enrico Pasini

 

 

 

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