CISADeP – Gli effetti del Covid-19 negli ospedali dei piccoli centri

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Comunicato del CISADEP :

 

Anche il CISADeP (Comitato Italiano Sanità Aree Disagiate e Periferiche) ha monitorato in questi mesi le situazioni emergenziale a livello nazionale del COVID-19.

Il Covid-19 è un nemico che non puoi VEDERE e da alcuni mesi ha cambiato radicalmente la vita di tutti noi.

Le regioni più colpite dal COVID-19 sono state la Lombardia e la Regione Emilia Romagna; i dati parlano chiaro, oltre 15.000 decessi in Lombardia e oltre 3800 decessi in Emilia Romagna.

L‘Emilia Romagna è la seconda regione dopo la Lombardia  per contagiati e deceduti.

Le due regioni più colpite sono quelle che in ambito sanitario garantiscono degli standard qualitativi e quantitativi molto alti, anche se i tagli lineari degli ultimi anni hanno avuto forti ripercussioni sul sistema sanitario nazionale.

In Molise e in Veneto sono stati richiamati ad esempio i medici che erano andati in pensione per fare fronte ad eventuali carenze di organici. Il privato lo fa da tempo perché c’è una legge che lo consente.

 L’emergenza epidemiologica da Covid-19 ha imposto, sia nella fase acuta del contagio sia nella successiva “Fase 2”, un rimodellamento complessivo della rete sanitaria metropolitana, toccando da vicino anche gli Ospedali più piccoli, cioè quelli di periferia come vengono normalmente definiti.

Per quanto riguarda gli ospedali montani della regione Emilia Romagna e nello specifico quelli dell’Appennino bolognese, abbiamo visto riconvertire una parte della struttura dell’Ospedale di Vergato per la gestione dei pazienti COVID.

Questo ospedale ha avuto un ruolo cruciale ed ha assicurato e assicura tuttora sicurezza ed efficacia delle cure ai pazienti COVID non più gravi, cioè che  non hanno più necessità di ventilazione, liberando al contempo letti negli altri ospedali COVID da dedicare a pazienti nella fase acuta della malattia.

Negli ultimi anni, però, entrambe le strutture sono state oggetto di processi di riordino che, purtroppo, hanno finito per ridurne prestazioni e servizi. A questo proposito basti ricordare la chiusura, risalente al 2014, del punto nascite porrettano e la riorganizzazione complessiva dell’ospedale di Vergato, col trasferimento di alcuni reparti e un conseguente depotenziamento.

In entrambe le strutture in questi mesi così delicati si é risentito molto il taglio dei posti letto.

Un altro triste primato spetta alla nostra Regione.

Seconda provincia in Italia per tasso di mortalità nelle residenze per anziani a causa del Coronavirus è Reggio Emilia, dietro a Bergamo.

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha avviato, a partire dal 24 marzo 2020, in collaborazione con il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, una “Survey nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie”  al fine di monitorare la situazione e adottare eventuali strategie di rafforzamento dei programmi e dei principi fondamentali di prevenzione e controllo delle infezioni correlate all’assistenza (ICA).

L’indagine, rivolta alle circa 2500 strutture RSA censite nella mappa on line dei servizi per le demenze realizzata dall’Osservatorio Demenze dell’ISS (che raccoglie strutture sanitarie e sociosanitarie residenziali, pubbliche e/o convenzionate o a contratto, che accolgono persone prevalentemente con demenza), si basa sulla compilazione di un questionario finalizzato ad acquisire informazioni sulla gestione di eventuali casi sospetti/confermati di infezione da nuovo coronavirus.

E’ notizia di questi giorni che in Emilia Romagna nasce l’Hub regionale e nazionale per la Terapia intensiva, a disposizione  dell’intero Paese.

Il progetto di Regione e Ministero della Salute, annunciato nemmeno due mesi fa, a metà aprile, è già realtà, grazie a un investimento complessivo di 26 milioni di euro.

Articolato su 6 strutture ospedaliere e ospedaliero-universitarie del territorio – a Bologna, Modena, Parma e Rimini- rafforza il sistema sanitario regionale, pubblico e universalistico, aumentando la dotazione complessiva di 146 nuovi posti letto di terapia intensiva e sub-intensiva. Si tratta di  spazi utilizzabili da subito per curare pazienti in situazioni critiche che richiedano questo tipo di assistenza specialistica nell’ambito dell’attività ordinaria, e ai quali ricorrere per gestire un’eventuale nuova ondata epidemica di pazienti Covid, provenienti anche da altre regioni, o qualsiasi altra emergenza.

In Toscana a parte la mancanza così come in tutte le altre regioni di mascherine e di tutti i presidi a protezione del personale sia ospedaliero che delle RSA, dove inizialmente, in queste ultime, per non creare allarmismo sia tra i pazienti che tra i parenti dei pazienti, avevano addirittura proibito di indossare anche la sola mascherina. Nelle RSA oltre  alla mancanza di  indumenti di protezione per gli operatori, in gran parte risultati positivi, grave è stata la mancanza dei tamponi e delle indagini sierologiche relative per monitorare coloro che potevano essere potenzialmente positivi sia tra i pazienti che tra gli operatori. Su 320 RSA  42 sono gestite dalla USL e 280 da Cooperative; in queste ultime si sono verificate le vere criticità. Ad oggi degli 899 decessi complessivi oltre il 30%  appartengono ad anziani delle RSA. Sono circa 10 le RSA nei confronti delle quali la magistratura sta indagando. In sostanza le RSA sono state abbandonante a sé stesse e questa è stata una delle vere criticità sia per le morti dei pazienti che per la diffusione del Virus.

Le altre criticità sono comuni a tutte le altre regioni, ma in Toscana, invece di concentrare in ospedali attrezzati con tutti i servizi di emergenza gli ammalati positivi, non in cura intensiva, ma da tenere sotto lo stretto controllo di medici e operatori preparati, si è ricorsi al ricovero in strutture prive di pronto soccorso e di rianimatore, come nel caso del PIOT di San Marcello Pistoiese, e. quando si sono verificate criticità, hanno dovuto trasferire con tutti i rischi che ne sono derivati i pazienti al Pronto Soccorso del San Jacopo di Pistoia.

E’ chiaro che chi ne ha subito le conseguenze sono tutti coloro che in lista di attesa aspettavano per interventi programmati, anche gravi, che sono stati rimandati a tempo indefinito.

La regione Molise ha accusato la mancanza di  un Ospedale Covid dedicato,  confusione di disposizioni da parte dell’Unità di Crisi, a volte contraddittorie e cambiate da un giorno all’altro, oppure molto originali, chiusura, per  incauta gestione di un caso Covid, con origine di focali relativi, dell’Ospedale di Termoli per 20 giorni, dramma in una casa di riposo di Agnone,  la “Tavola Osca”, assunta alle cronache nazionali su Chi l’ha visto, con anziani sbattuti di notte da questa struttura in una RSA pubblica mai aperta a Venafro nel caos più totale, possibilità ridottissima di fare tamponi. Le cose sono andate bene con pochi contagi, ad oggi 439, perché la popolazione, vista l’assenza di un sistema sanitario sicuro, ha osservato ossessivamente e scrupolosamente tutte le norme per la quarantena.

In Basilicata (regione di appartenenza del nostro Ministro Speranza) l’emergenza Covid fortunatamente è stata molto circoscritta perché, essendo una regione vasta con pochi abitanti, il virus non ha avuto modo di espandersi molto; a livello regionale la task force avrebbe avuto la possibilità di gestire meglio tutta la regione e invece nonostante i pochi casi molta gente è stata letteralmente abbandonata e per quanto riguarda i tamponi sono arrivati solo dove si voleva farli arrivare e non dove magari ce n’era bisogno.Tutti gli altri servizi sanitari  sono stati sospesi completamente quando  invece si potevano gestire bene senza lasciare la gente che soffre per le patologia No Covid abbandonata a se stessa.

 

        Emanuela Cioni

Presidente nazionale CISADeP

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