È tornata l’estate e con essa la natura è rifiorita, in tutta la sua bellezza e maestosità, dopo un periodo travagliato e incerto, nel quale pensieri e preoccupazioni hanno dominato la vita di tutti i giorni, di fatto stravolgendola, nel panorama di un’emergenza sanitaria mondiale senza precedenti, che ora sembra essere lontana, anche se non troppo.
Le abitudini sono cambiate, le accortezze per la nostra salute aumentate e l’unica cosa che ha trovato grande giovamento nel periodo di Lockdown è stato proprio il nostro pianeta.
Madre Natura ha ripreso a respirare a pieni polmoni, donandoci un cielo incredibilmente blu e un’aria pulita e piacevole da respirare, facendo sentire la nostra anima forse un po’ meno in pena.
La natura si è rafforzata, ha ritrovato la brillantezza dei suoi colori e gli animali che la abitano hanno ripreso a curiosare sentieri e boschi come raramente accadeva.
Tempo d’estate, tempo di relax e voglia di stare all’aria aperta.
Tempo di passeggiate e trekking, per tutti coloro che amano esplorare luoghi magici, dove mente e corpo si rigenerano, lontani dal traffico della città, del lavoro e dallo stress quotidiano.
Sentieri nei boschi che nascondono scoperte improvvise e meravigliose, celate nel mezzo del verde e protette dallo scorrere luccicante di torrenti e fiumi.
Luoghi dimenticati e ormai decadenti, che tuttavia conservano un fascino magnetico e conservano frammenti di storia da recuperare.
Luoghi fiabeschi o inquietanti a tratti, pronti ad essere visitati, sempre nel rispetto della propria sicurezza, della legge e delle stesse infrastrutture che hanno resistito così a lungo nel tempo.
Per questi motivi, non potevo esimermi dal riprendere una rubrica che l’anno scorso ha incuriosito tantissimi amanti delle passeggiate “diverse”.
Persone appassionate di urbex, amanti e professionisti della fotografia o semplicemente estimatori del mistero e dei viaggi nelle pieghe del passato.
Come sempre, non rivelerò l’esatta ubicazione dei luoghi da me descritti, in parte per mantenere l’alone di suggestione degli stessi e per indurre a scoprire da soli la loro ubicazione, ma anche e soprattutto per non far accorrere sconsiderati vandali e sciacalli senza alcuno scrupolo.
In questa nuova serie di percorsi dell’Appennino dimenticato, il primo gigante che si erge tra gli alberi e le fronde è un edificio sacro che stupisce e incanta.
I tre pinnacoli svettano alla conquista del cielo, mentre il grande occhio circolare al centro della facciata principale sembra squadrare il viandante con una punta di severità, rimarcando aspetto e rimembranze solenni e religiose, suscitando così ancora profondo rispetto nello sguardo di chi ha la fortuna di tornare ad ammirare questo gioiello del tempo.
Facendo attenzione ai rovi che proteggono l’accesso, appena entrati nella chiesa ormai spoglia, non si può fare a meno di essere avvolti da un senso di piccolezza, rimanendo qualche attimo a indugiare sulla soglia, paralizzati nell’osservare i dettagli ancora visibili delle forti arcate e i giochi di luce descritti sulla pietra, prima di concentrarsi sul grande abside, spoglio dell’altare, ma comunque pregno di incrollabile attrazione.
Una chiesa giunta fino a noi, tra i secoli, figlia dell’attenta costruzione bolognese e delle geniali menti ormai dissolte nella polvere oltre la vita.
Un edificio che coniuga indubbio fascino storico misto a quello religioso, che induce l’avventuriero a camminare con discrezione al suo interno, attento a cogliere aspetti minimali coperti dalle ragnatele e dalla polvere, lasciando che l’immaginazione lavori e torni a ricostruire ciò che era stato, almeno nell’immensità della propria fantasia.
Nascosta ai più distratti, un giro un po’ più difficoltoso sul retro, offre un piccolo sguardo alla cantina fresca e ampia, nella quale si riescono a scorgere tracce di qualche manufatto ormai impossibile da identificare.
Un primo tesoro dell’Appennino dimenticato, forse anche più vicino di quanto si possa pensare, eppure raccolto in una bolla discreta di meditazione.
Una chiesa che accoglie solo chi ha rispetto e il giusto senso d’amore per tutto ciò che rimane arte, anche dopo che gli anni hanno accentuato gli aspetti più devastanti di un abbandono che difficilmente vedrà un restauro e nuova luce.
Si esce soddisfatti da questo primo luogo, fieri di essere stati testimoni di un potere che va oltre l’aspetto esteriore e ripercorre storia e storie, mentre la natura torna a richiudersi su questo tesoro del territorio e ci si allontana in silenzio, provando gratitudine e ancora un senso di assoluta umiltà verso la perfezione che ha concesso di essere riscoperta, mentre il tramonto incombe e il leggero soffio del vento tiepido della sera accarezza ogni angolo di questo tesoro delle emozioni e il rosso del sole che giunge e riposo, lambisce di arancione i resti del campaniletto che ha suonato per tanto tempo, tra cerimonie festosi e momenti di raccoglimento silenzioso.
Foto di Fabrizio Carollo
Ogni volta che passo …. nelle sue vicinanze, mi chiedo perché siano stati interrotti i lavori di restauro, iniziati, se non erro, in vista dell’anno giubilare 2000.
Nella foto all’esterno della zona absidale, nella cornice in basso mi pare di cogliere la data 1899. Si riferisce ad un restauro o, più probabilmente, all’edificazione della chiesa intitolata a….?
Correggo. La cornice con la scritta non è nella parte absidale, ma sulla facciata. Splendida la finestra “serliana” sul lato sud, in modo che la luce inondi la chiesa. L’abbondanza di aperture e la singolarità della loro disposizione mi fa propendere per una datazione moderna della chiesa, costruita in stile eclettico, che combina stilemi neo-gotici e rinascimentali.