È quasi autunno a Zappolino, ma il sole imbroglia con i suoi torridi raggi che ancora seccano i campi, svuotano i fiumi e scaldano l’asfalto.

C’è del frastuono nella frazione di Castello di Serravalle, Comune di Valsamoggia; il parcheggio di fianco alle vecchie scuole ribolle di furgoni e ammiraglie e diverse persone sono in strada ad aspettare un momento, anzi due, che passeranno in un battito di ali, anzi passeranno con un colpo di pedale.

Zappolino è luogo di grande storia, prima terra che si innalza verso il cielo arrivando dalla Pianura. È la porta dell’Appennino Bolognese che porta verso le grandi vette prima della Toscana.

Terra di storia e di ciclismo che in questo 2020 pandemico è rimasta orfana delle sue gare, la Granfondo Dieci Colli, annullata durante il Lock down e il Gran Premio Bruno Beghelli per i professionisti, annullato per il sovraffollamento del calendario.

Orfana di ciclismo ma non di ciclisti che in centinaia salgono, scendono, faticano, sudano, arrivando e attraversando questa breve ma significativa salita.

Terra di ciclisti tanto che a fine lockdown su tutti e tre i suoi versanti la scritta “Bentornati Cyclist” era apparsa come una liberazione dopo due mesi di clausura.

Le sirene della scorta risuonano nell’aria, i volontari agli incroci bloccano le auto, dal parcheggio rimbomba un brusio di voci e il rombo delle moto scuote il cielo. Dalle case molti scendono in strada, sulle terrazze e sui balconi si affollano le famiglie che curiose guardano le staffette passare in attesa dell’arrivo dei ciclisti.

La Società Ciclistica Ceretolese 1969 di Franco Chini è riuscita con coraggio e dedizione a portare una gara sulle strade di Zappolino, e della Valsamoggia, anche in questo 2020  e il Piccolo Giro Dell’Emilia è diventato anche Campionato Italiano Under 23.

Il rumore delle ruote sottili, del frusciare dei raggi e dello sferragliare dei rapporti arriva a Zappolino da Savigno, con i giovani ciclisti, partiti da Zola Predosa, che hanno già sulle gambe la salita di  Vedegheto. Il primo gruppetto si butta follemente in discesa verso Fagnano, all’ombra della vecchia Chiesa sorta al posto dello storico Castello crollato dopo il terremoto, i fuggitivi pennellano le curve che vanno verso il mulino con foga e classe da consolidati professionisti.

Sono in 10 e il gruppo principale tarda ad arrivare e quando arriva è già bello sgranato, dietro di esso altri due gruppi staccati di un minuto dicono addio ai sogni di gloria.

Tra gli addetti al lavoro c’è meraviglia e sorpresa, i ritmi devono essere stati altissimi fin dall’inizio e il caldo afoso deve averli fatti sembrare ancora più alti.

I ciclisti passeranno di nuovo a Zappolino facendo un giro del circuito Tricolore e salendo questa volta dalla Bersagliera. I furgoni si spostano dal parcheggio alla fine della salita, poche centinaia di metri ma preziose per poter rifornire di fresca acqua i ragazzi in bicicletta.

La meraviglia di molti comunque è data anche dalla composizione del gruppetto in fuga. Dieci uomini, cinque sono del Cycling Club Friuli e tre della formazione zebrata bianco nera sono tra i favoriti della gara. Una fuga di squadra a neanche metà competizione raramente si era vista in qualunque categoria e sicuramente non la si vedeva da un po’.

Bais, Milan e Aleotti sono in fuga protetti dai loro compagni Petrelli e Pieron. Anche sull’ascesa dalla Bersagliera i fuggitivi sembrano andare molto più forte rispetto al gruppo, la fuga è studiata e dietro il Team Colpack e il Team Casillo Petroli Hoppla tirano cercando di limitare il vantaggio. L’andatura è alta tanto che il rifornimento viene considerato da pochissimi, concentrati a dar tutto per finire la salita.

Di nuovo discesa verso Fagnano e il Piccolo Giro Dell’Emilia lascia Zappolino, che torna nella sua pace e nel suo prezioso silenzio, buttandosi verso la pianura per raggiungere Zola e cominciare il circuito di SanLorenzo in Collina e poi quello di San Martino in Casola con lo strappo di Montevecchio da ripetere 5 volte.

Bais, Milan e Aleotti dicono tutti siano il futuro del ciclismo italiano.

Di Aleotti, a chi scrive, gli raccontarono lo scorso anno alla Granfondo del Po di Ferrara.

Chi scrive ha militato 5 stagioni nella Ceretolese in giovane età, con scarsi risultati, tanti ritiri, tanti urli presi da Franz, Lenzi e Cevenini, tanta paura di stare in gruppo, poche gare finite e un solo piazzamento nella penultima gara della sua breve carriera, quando la passione stava diventando travolgente e le paura andavano scemando.

Risalito in sella in età appena adulta non è più sceso, partecipando per venti anni a diverse Granfondo e vantandosi, oltre a qualche buon tempo, di non essersi mai ritirato e di non essere mai salito sul carro scopa.

Fino allo scorso anno quando alla Granfondo del Po tra il chilometro 45 e il km 50 fu vittima di due cadute.

Era nel secondo gruppo, aveva una media superiore ai 40 orari quando la ruota si sgonfiò improvvisamente. Nonostante il veloce cambio di camera d’aria con quella sosta si ritrovò in fondo solo e con la seconda bucatura il carro scopa si fermò di fianco a lui.

Mancavano più di cento km e nessuna voglia di farli tutti da soli, quindi, molto affranto, salì sul carro scopa guidato da un signore sulla settantina e aiutato da un ragazzo sotto i trenta.

Con poca voglia di parlare, abbastanza smaronato e consapevole che sarebbe arrivato al traguardo dietro l’ultimo,  chi scrive rimase praticamente sempre in silenzio anche quando il carro scopa raccolse un altro ciclista.

Era Friulano aveva provato a fare il lungo ma si era reso conto che pur essendo solo Pianura non aveva la condizione per finirlo.

Il signore che guidava il furgone era di Finale Emilia, cominciò a raccontare del nipote, che correva dilettante, che stava molto bene, che sembrava crescere promettendo grandi risultati, che si chiamava Giovanni e loro erano gli Aleotti, che la Ctf era perfetta per lui, perché con i ragazzi di quella età ci sapevano proprio fare, che sperava andasse in Francia a fare l’Avenire e che secondo lui poteva riuscire a passare tra i professionisti.

Chi scrive non parlò, ma rimase quasi commosso dalla passione e dall’affetto di quel nonno così orgoglioso del giovane nipote.

La fuga piano piano viene ripresa, la Colpack riesce a cominciare il circuito di Montevecchio con il gruppo compatto, per i fuggitivi dopo tanti chilometri all’aria sembra ormai finita, gli scatti sullo strappo che da Ponte Ronca porta a SanLorenzo si susseguono, ma hanno vita corta.

Tutti tranne uno, all’ultimo giro, uno scatto secco e deciso, sul viso il ghigno di chi spara tutto quello che ha e ha la sicurezza che quello sparo farà male a molti.

È Giovanni Aleotti a scattare, dopo tanti chilometri di fuga  era rimasto nel gruppo coperto lasciando lavorare le altre squadre che erano riuscite a chiudere tutti i tentativi di fuga. Tranne il suo.

Giovanni vola in discesa, si butta verso PonteRonca guardando la sua pianura, guardando verso casa e guardando verso il futuro, quel futuro che dopo poco giorni gli porterà un contratto per il 2021 alla Bora di Peter Sagan.

Tra Giovanni Aleotti e la maglia Tricolore ci sono solo i tre chilometri scarsi di pianura verso il traguardo, possono sembrare pochi ma sono tutti in leggera salita, Giovanni dà tutto e invece di perdere terreno ne guadagna, andandosi a prendere in maniera strepitosa la maglia Tricolore.

Una tattica quella della Ctf dal sapore antico ma anche innovativa, su un percorso dall’apparente, ingannevole, facilità, ma che in realtà non ha regalato un momento di tregua. Un percorso letto alla perfezione dalla formazione friulana, pedalato dai suoi ragazzi con grande cuore, belle gambe, spensierata fantasia, tenace passione ma soprattutto smisurata testa.

Giovanni Aleotti vince il Piccolo Giro Dell’Emilia e si veste con la maglia tricolore di Campione Italiano Under 23, una maglia che indosserà pochissimo visto l’imminente salto tra i professionisti.

Il nonno lo aveva detto, poteva farcela.

I nonni han sempre ragione!

 

Foto di Enrico Pasini

 

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