Una passeggiata in Appennino…ascoltiamo il silenzio

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L’arcobaleno scende su Castel di Casio

 

Percorrendo le tortuose strade dell’Appennino Tosco Emiliano, c’è un luogo dove il tempo sembra immutato da anni.

Lì il vento soffia impetuoso spesso anche nelle giornate di sole, e le fronde degli alberi sussurrano, quasi a raccontare quello che hanno visto negli anfratti di tempo ormai trascorso.

Ricca di storia è “Vicus Cassi” così denominata, ai tempi dell’Impero Romano ossia l’antica Borgata di Casio.

Qui, magici boschi ombrosi e selvaggi, raccontano la storia di gente dei luoghi. Le persone più grandi, hanno mani e visi arsi dal duro lavoro nei campi, ma orgogliosi di appartenere a questo piccolo capoluogo.

Il respiro del silenzio, è l’unica compagnia quando cala la penombra e il caldo lascia libera la terra arsa dalla canicola d’agosto che ti circonda.

Nessuno parla, e ti senti osservato da quei grandi alberi che sembrano estendere le loro braccia per accoglierti.

Ti guardi intorno e sai, che paesaggi così, con campi incolti e morbide colline che all’orizzonte si adagiano maestose, non li rivedrai nel caos della città.

E che questa natura dal sapore antico e fuori dal tempo ti parla di un passato lontano, di come frammenti di esso si siano trascinati sino a qui, con la forza che rende la natura depositaria di memorie antiche.

E ti domandi sotto quale castagno ormai scomparso da secoli, siano state trovate le monete dell’epoca Imperiale romana, o se durante il suo feudo Matilde di Canossa sia transitata proprio da qui, esattamente dalla strada che conduce al confine toscano, o se nel 1219 il Potestà giunto da Bologna sia rimasto ammirato da questi luoghi.

Sicuramente, la terra non dimentica le fiamme che la devastarono prima nel 1306 ad opera dei Conti di Panico e poi nel 1644 dai soldati fiorentini.

Ma essa, con certezza, ancora ode nelle sue profondità il boato delle violente scosse dei terremoti, che per ben due volte nel 1470 e nel 1843 abbatterono torri di cinta, e lesionarono l’unica tuttora presente.  Questi luoghi sono stati segnati anche da ripetute epidemie di peste e una terribile carestia, quando per cibarsi la gente strappava da terra le radici e la povertà divenne lo spettro di morte per molti.

Oggi, sembra così lontano quel tempo e  il viandante che percorre questi luoghi non crede possibile tutto questo passato.

Lo scorrere del tempo muta, trasforma accresce, sino a rinascere. Non sappiamo quanti perirono da allora sino ad ora, quante storie siano passate di qui, e abbiano calpestato la terra del Capitanato di Casio ma la vita muta, nelle fessure trova sempre la luce e tutto continua, di generazione in generazione, dalla pianta rinasce il seme da cui riprendere il corso, per regalarci oggi, nel 2021, sul crinale della valle del fiume Limentra questo bucolico e imponente paesaggio.

La natura ci guarda esattamente come allora, talvolta crudele e avara, ma anche generosa e fertile, portando con sé gioie e dolori, e i segni che ha saputo nel tempo nascondere, come una grande guerriera che è ha resistito nella sua immutata bellezza, orgoglio del nostro patrimonio.

I grandi alberi hanno occhi e memoria. Loro raccontano. Basta ascoltare il silenzio.

 

Foto di Silvia Palmieri

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