Case di riposo: quando l’Ospite diventa un optional    

In una struttura della provincia una signora novantunenne messa alla porta per le lamentele del figlio per disservizi ricevuti.

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I nostri genitori, il nostro sangue, i nostri “vecchi”, che in età avanzata diventano inevitabilmente un “problema” per la famiglia da affrontare e gestire, nel bene e nel male. Da qualsivoglia angolatura la vediamo, al netto dei sentimenti paterni o materni e del dovere morale, prevale l’aspetto gestionale non di poco conto, che siano gestiti in casa propria o in una struttura organizzata.

Se fra le mura di casa non si riesce a gestire un genitore, per svariati motivi, diventa inevitabile rivolgersi a strutture organizzate pronte a prendersi cura del proprio congiunto. E per fortuna esistono. La ricerca spasmodica di una struttura adeguata (Rsa, Casa di riposo, Casa-famiglia o comunitaria che sia, n.d.r.) non è facile e più delle volte la famiglia si ritrova a scegliere una soluzione contingente (per motivi di tempo) o più idonea in base alle informazioni ricevute.

In generale i servizi socioassistenziali sono più o meno standardizzati, ai quali si aggiungono altre prestazioni in base all’offerta della struttura. In altre parole, i servizi aggiuntivi rientrano nella logica di un servizio alberghiero: più servizi ricevi più paghi. E fin qui nulla da eccepire. Quando però i servizi cosiddetti standard non sono adeguati allora è lecito porre domande e pretendere risposte. Ergo, se la qualsivoglia struttura vende un servizio (carta dei servizi alla mano) questo deve corrispondere a realtà, altrimenti parliamo di un grave inadempimento a scapito di un utente fragile.  E in questi casi la famiglia ha il dovere di vigilare sulle prestazioni rivolte al proprio congiunto.

In tutto questo c’è però una variabile poco considerata: se il famigliare di un Ospite prova a fare rilievi sui disservizi può ritrovarsi in una situazione a dir poco paradossale, la struttura ti dimette il congiunto senza tante esitazioni, evidentemente forti della richiesta, lasciandoti addosso una sorta di impotenza e dubbi sulla liceità del loro operato. Sia chiaro, non si vuole screditare un’intera categoria peraltro altamente produttiva, infatti, in questo settore vi operano seri professionisti (Medici, Infermieri, Operatori sociosanitari e altre maestranze dedite a fare funzionare il sistema), l’obiettivo invece è porre una riflessione sul “modus operandi” di una struttura della nostra provincia, sulla quale riceviamo una testimonianza diretta.

 

 

L’INSERIMENTO IN STRUTTURA DELL’ANZIANO NON AUTOSUFFICIENTE – Il transito di un Ospite dalla vita reale alla vita di comunità non è per nulla facile; in molti casi diventa traumatico sia per l’Ospite stesso che per i figli accettare questa soluzione In questa circostanza la Struttura e il personale dedicato diventa centrica per mettere l’Ospite a proprio agio e permettere un soggiorno sereno e più longevo possibile.

Nel caso in questione, il nostro interlocutore si è trovato difronte a servizi (decantati) non propriamente corrisposti, dove l’Ospite era un optional. In tutti i sensi. Sin dai primi giorni il personale della struttura si è presa cura della Signora di cui parliamo, instaurando un buon rapporto, salvo in un solo caso in cui una dipendente della struttura si è permessa di apostrofare l’Ospite (lucida, fino a prova contraria), durante il turno serale.

Può capitare un giorno negativo sia per l’Utente che per l’Operatrice di turno, se ne parla e si risolve il problema, ma per un figlio non è tollerante la recidività. In un momento in cui l’Ospite è alle prese con il cambio radicale della propria vita (perdere autonomia e abitudini nel giro di pochi giorni è un trauma) si sente apostrofare di essere “indisponente” solo perché richiede un servizio (lecito): che le fosse messa la crema nelle gambe per risolvere un problema allergico persistente Succede una prima volta, una seconda volta e – a bocce ferme – il comportamento di quell’Operatrice diventa inappropriato verso una persona fragile (novantunenne con disabilità al cento per cento) che fatica ad accettare il cambiamento. Non solo: durante il giorno la Signora chiede più volte di andare in bagno e la risposta diventa regola: “non è il momento per andare in bagno”. Piccolo e significativo inciso: nella sala comune esiste un solo bagno servile a 35 ospiti, dove regnava – all’epoca del soggiorno – l’odore acre dell’urina. Vita grama quella della Signora novantunenne costretta a stare seduta in uno stanzone per undici ore, spesso in una scomoda sedia a rotelle. Si pranza alle 11:30 e si cena alle 18:00, allettati alle 19:15, se va bene. Capita sovente che la domenica il letto sia accarezzato con il boccone ancora in gola. La chiamano “vita di comunità” atta a “socializzare”, ma nei fatti hai poco da socializzare se una persona è costretta a stare seduta in uno stanzone a urinare nel pannolone perché non è portata in bagno. Umanamente inaccettabile.

 

 

ASSISTENZA MEDICA – L’Ospite accusa questo maledetto prurito fra le gambe e i figli richiedono alla struttura di fare visitare la propria congiunta al Responsabile medico; che interviene prescrivendo un antistaminico, ma il problema persiste e in un secondo tempo si richiede un nuovo consulto. Trascorsi dieci giorni l’Ospite non viene visitata come richiesto. In una situazione come questa è logico l’intervento dei parenti che fanno presente alla struttura la mancata visita: la proprietà ribatte che “la Signora è stata visitata e non ha alcun problema”. L’Ospite però afferma il contrario. La visita verrà poi eseguita a distanza di due settimane lavorative.

LA PRIVACY NEI COLLOQUI – Altro problema riscontrato: la mancanza di privacy in occasione dei colloqui dei parenti con l’Ospite. Incontri svolti in un angolo dell’entrata (chiamala se vuoi reception) dove (nella sostanza) è stato ritagliato un ufficietto e dove transita sia il personale indaffarato in altre prestazioni sia altri utenti esterni. È vero che il protocollo Covid vigente non permette ai parenti di entrare nella struttura a tutela e salvaguardia degli Ospiti presenti in struttura, sacrosanto principio a tutela delle persone fragili, ma è altrettanto vero che le “Linee Guida della Regione Emilia-Romagna” sono chiare. Sinteticamente riportiamo: “Le visite all’interno della struttura devono essere effettuate in locali specificatamente adibiti, separati dalle aree comuni e da quelle frequentate dagli altri ospiti e dagli operatori della struttura. Qualora non vi siano alternative, possono essere utilizzate anche aree comuni, opportunamente allestite, che durante le visite siano utilizzate esclusivamente a questo scopo”. Aree, peraltro, che dovrebbero essere adeguatamente arieggiate e così non è. In tal senso, la proprietà dichiara al figlio della Signora di “essere in regola con le normative AUSL e se non ci stava bene potevamo portare a casa il congiunto”.

LA DISDETTA DELLA CASA DI RIPOSO – Alla luce di queste richieste i parenti della congiunta si vedono recapitare la disdetta applicando in modo discutibile un articolo del contratto, che prevede la facoltà della struttura di recedere qualora sia riscontrata una “abituale condotta dell’Ospite di grave danno o molestia agli altri e non risultano praticabili rimedi efficaci; mutino le condizioni psico-fisiche dell’ospite e non vi sia la possibilità di un’adeguata assistenza nella struttura; non venga rispettato l’impegno puntuale del pagamento della retta”. Nulla di tutto questo – afferma uno dei figli – è riconducibile al proprio congiunto, in quanto i pagamenti sono sempre stati regolari e nella struttura la Signora era ben voluta dal personale. A valorizzare quanto afferma il figlio, nelle dimissioni a firma del Responsabile medico della struttura, “l’Ospite è risultato essere completamente lucido, calmo e non irritabile, non presenta segni di irrequietezza ed è tranquillo”.

Seguita la disdetta – afferma uno dei figli – il personale della struttura ha più volte riferito all’Ospite che sarebbe stata dimessa a causa del comportamento aggressivo del figlio, quando invece lo stesso dichiara di avere reagito compostamente all’infelice affermazione arrogante e indisponente pronunciata dalla titolare: “se non le sta bene il servizio fornito può portarsi a casa il congiunto”.

Davanti ad una testimonianza così incisiva, sarebbe quantomeno opportuno aprire più di una riflessione sull’operato di certe strutture nei confronti nostri vecchi. Nel nostro piccolo auspichiamo una soluzione logica: che i Servizi competenti siano vigili sulla qualità dei servizi forniti in queste strutture, magari avviando controlli a campione.

F. C.

 

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