Riflessioni su un incidente stradale: La vita oltre la rete, ciao Manuel

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foto TGCOM24

 

Ancora una volta. Tristemente, brutalmente.

Un’altra vita innocente spezzata. Una vita appena affacciata al mondo, che non avrà modo di arricchire le proprie emozioni, che non potrà mai innamorarsi, costruire la propria famiglia, realizzare i progetti del cuore o della mente.

Una vita che non avrà mai un futuro.

La vita di un bambino di cinque anni. Del piccolo Manuel.

Una vita giunta bruscamente al termine, forse subito dopo un sorriso o il pensiero di un domani ancora ricco di giochi, divertimento e dell’affetto di due genitori travolti da un dolore spietato, impossibile da descrivere, che nessuno dovrebbe mai provare.

Un dolore in grado di rendere folli.

 

Un dolore assurdo. Una vita tolta all’amore per cosa?

Per quello che va di moda? Per piccole figure stilizzate di pollici alzati? Per cercare di trovare una scappatoia facile e fare quella cosiddetta “scalata al successo”, che la Rete sembra offrire così facilmente, sia pure a prezzo, secondo il sottoscritto, della propria identità e, a volte, della stessa dignità?

 

Non sto scrivendo un articolo vero e proprio. Né si tratta di uno sfogo, ma più semplicemente di una serie di riflessioni, che voglio fare soprattutto a me stesso.

Un episodio di cronaca, apparentemente e terribilmente simile a molti altri, che mi ha portato però a fermarmi e prendere del tempo per riflettere e buttare considerazioni che forse non avranno mai uno sbocco e che, certo, non sono il primo a fare, ma spero nemmeno l’ultimo.

Pensieri tristi e mortalmente seri, dopo l’ennesima tragedia. Una tragedia che avrebbe potuto essere evitata semplicemente grazie al buon senso, rifiutando quella popolarità effimera che l’internauta sembra bramare a qualsiasi costo.

Una popolarità che spinge i “Creators” a creare, appunto, contenuti nuovi sui social o sui propri canali Youtube, come in questo caso, arraffando il consenso vacuo di un popolo annoiato, che ama oservare le challenge o sfide più disparate, dove praticamente mai entra la logica o la razionalità ha il posto che le spetterebbe.

Perché logica e razionalità non portano ai like e non accrescono il numero di followers. Razionalità e logica o anche la conoscenza sembrano diventate noiose. Non catturano l’attenzione, a meno che non si tratti di fake news o “esperti del settore” improvvisati, verso cui pendono le labbra di migliaia (forse milioni) di persone dalla vita frenetica, piatta e senza più il desiderio di ricerca, di comunità o divertimento, quello sano.

 

E allora le challegne fioccano sui canali Youtube e diventano sempre più estreme, sempre più assurde, in barba alle leggi, a qualsiasi etica o moralità.

Potete darmi del bacchettone o di quello che spara giudizi a zero, puntando il dito come fanno molti, senza avere soluzioni. Non mi aspetto comprensione per le parole che sto scrivendo, così come invece mi aspetto critiche da chi davvero punta il dito, intenzionato a scatenare polemiche sterili e attaccare briga a tutti i costi, alimentando la fiamma d’odio e superficialità, che sempre più avvolge un mondo estraneo a quell’ancora nutrita fetta di persone, che oggi vengono definite “boomer”.

 

Termini di cui la rete è piena, che vengono sfornati continuamente dai giovani esempi di quei creator che arrivano e poi spariscono, non prima di avere fatto danni e che sono lo specchio di questa società, che gonfia l’apparenza e che, a mio avviso, è destinata prima o poi a distruggersi violentemente contro un vicolo cieco.

 

Non di tutta l’erba un fascio, ci mancherebbe.

Esiste quel microcosmo di contenuti intelligenti e utili, dei quali l’universo parallelo che si espande nei computer, tablet e negli smartphone di ognuno di noi, dovrebbe essere colmo. Io stesso cerco di diffondere contenuti che possano divertire senza pericolo, intrattenere, interessare, unire.

Nel mio piccolo, senza pretese, senza invidie e senza presunzioni, ma soprattutto senza quella frenesia incontrollata di voler accumulare montagne di pollici alzati e commenti entusiastici.

Nessuna challenge per essere originale, per quanto mi riguarda.

Nessuna sfida che voglia erigermi sopra qualsiasi concorrente.

 

Perché la verità è solo una: che Manuel non ce l’ha fatta.

Che quella piccola vita di cinque anni è finita per un motivo assurdo, mentre la mamma e la sorella del piccolo lottano per la vita.

Colpevoli alcuni influencer, impegnati nell’ennesima prova cha caratterizzava il loro canale video, ossia sfrecciare lungo le strade della capitale a bordo di un suv, per almeno cinquanta ore consecutive.

Un’esperienza che doveva essere documentata con telefonini e videocamere, per raccogliere il maggior numero di inquadrature e fornire un montaggio finale impeccabile, che avrebbe reso il nuovo video ancora più virale dei precedenti e l’ennesima sfida vinta, che avrebbe potuto essere pericolosamente imitata da un pubblico incosciente e irrimediabilmente ipnotizzato da quello che sembra fantastico se visto dalla poltrona di casa.

 

La colpa è di questi giovani, che cercano la strada dei soldi facili e del successo virtuale, evitando sacrifici, studi e competenze che darebbero invece maggiori risultati e maturità interiore?

Sacrifici che il mondo di oggi non premia, verissimo… ma che devono essere comunque raggiunti come proprio traguardo personale, a mio modesto parere.

La colpa è di questa realtà, sempre più colorata, immediata, gridata e sopra le righe, ma tremendamente vuota, che produce queste figure di “riferimento”?

 

Nessun giudizio, lo ripeto.

Solamente la consapevolezza di un bambino che non c’è più, per colpa di qualcosa di tanto ridicolo e assurdo, da risultare ancora più atroce, nella sua evidenza.

Una colpa che, probabilmente e come spesso accade, non avrà neanche la giusta punizione.

Come sempre, le polemiche sono tante e ancora di più l’odio, che non porterà a nulla.

La consapevolezza potrebbe invece.

La consapevolezza di comprendere ciò che stiamo diventando, ciò che siamo già diventati.

Così come deve essere importante trovare il tempo di fermarsi e riflettere di fronte a tutto questo, capendo che internet non è la vita.

Discorsi banali, discorsi da boomer, forse… ma questo mondo ha bisogno del ritorno ad una piccola luce di banalità.

La banalità di una vita normale… senza seguaci, ma con gli amici.

Senza sfide su video, ma con i mondi fantastici del cinema, della letteratura e della cultura a farci sognare per davvero e farci capire chi siamo o vogliamo essere, guardandoci dentro, senza il bisogno di nessun modello di esaltazione o stupida leggerezza.

Con l’affetto dei propri cari e non di folle lontane migliaia di chilometri, con a disposizione tre, quattro o infinite identità con le quali sopperire la superficialità di una vita troppo “normale” o semplice, che è tanto fuori moda, ormai.

 

Ma è la vita semplice che Manuel stava assaporando.

La vita, fatta di giochi, stupore, ingenuità e sorrisi che avrebbe voluto godere ancora un po’ e l’avrebbe magari fatto diventare un uomo, senza il bisogno di essere un creator.

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