Dentro il borgo dell’Abbazia, una visita nel mentre di un cammino.

 

Le voci allegre di bambini scalpitanti e una chiassosa compagnia che visitava le torri di entrata invadevano l’aria fresca e azzurra di quel primo di giugno.

Entrarono nella corte e videro quei bimbi che entravano e uscivano da una casa all’altra, scappando, nascondendosi e rallegrando l’atmosfera già magnifica di quell’antico borgo.

La salita verso l’Abbazia è circondata da abitazioni antiche, tuttora abitate e vissute, nella modernità della nostra era, ma senza mai essere invadente.

La visione dei nostri tempi è data solo dalle automobili, che tristemente parcheggiate davanti alle porte di entrata, riportano a quello che siamo ora.

Lui era sempre infastidito dalla presenza ferma delle quattro ruote, quante fotografie rovinate per la presenza di quella latta appoggiata su gomme nere come lo sporco che producevano.

Quanto doveva essere bello il borgo quando non vi erano le automobili, quando lo spazio era più ampio e il camminare era il principale mezzo di locomozione. Forse in tempi antichi la scomodità e la lentezza di un cammino non era apprezzato come lo è ora, ma questo non vietò al borgo di essere visitato da migliaia di persone e chissà quante storie di amore e preghiera potrebbero raccontare quei muri, o quante scorribande e crimini avranno visto nella loro millenaria storia.

Arrivarono all’Abbazia quasi senza accorgersene ammirando le composizioni floreali che adornavano ogni casa, il prato davanti all’ingresso bene tenuto e la primavera in tutta la sua pienezza, rendevano ancor più magico quel luogo.

Misero le mascherine ed entrarono, lei si fece il segno della croce e si sedette su una sedia. Le regole imposte per quella pandemia avevano reso la Chiesa ancor più grande. Poche panche su cui potevano sedersi solo due persone, una a destra e una a sinistra, meno sedie, tutte ben distanti una dall’altra. Non tutte le restrizioni volute per evitare altri contagi erano negative. Alcune riportavano un po’ di ordine, e di educazione, al nostro nuovo vivere.

Lei rimase seduta in contemplazione del crocefisso, lui girò la navata e salì fin su all’altare. Da quando aveva letto i libri di Dan Brown ogni volta che entrava dentro ad una chiesa, o a un monastero, o a un qualunque grande monumento si metteva in cerca di simboli e figure, come fosse Robert Langond nel cercare un risolvere un nuovo mistero.

La prese per mano e proseguirono nella cripta sotto l’altare, la litania dei Frati che dicevano il rosario al di là del muro rendeva tutto ancor più mistico, mentre quei campanelli che ogni frate aveva per essere chiamato per una confessione regalavano un momento simpatico a quella visita.  Non si disturba mai per una confessione. Questo recitava il cartello vicino ai campanelli e loro erano d’accordo.

Uscirono nel sagrato e si incamminarono verso il Chiostro, nel retro della Chiesa. Chissà quante stanze dovevano esserci dentro quelle mura, chissà quanti passaggi segreti potevano essere nascosti dentro all’Abbazia, chissà a quanti uomini diede da bere quel pozzo.

Scesero lungo la stradina e si ritrovarono di nuovo all’ingresso del borgo, decisi proseguirono verso l’Abbazia, volevano sedersi all’ombra di un cipresso a mangiare il loro panino. Passarono accanto alla trattoria del borgo, due anziani signori che facevano i turisti forse speravano di trovare aperto.

Arrivarono alla panchina davanti all’entrata principale ma era occupata. Due ragazzi che leggevano su internet la storia dell’Abbazia vi sedevano. Non si disperarono e si sedettero sul muretto affianco.

Mangiarono con calma il panino osservando una coppia passeggiare per il sacrato. Lui, passati abbondantemente la quarantina, lei forse sotto i trenta. Al collo delle bellissime macchine fotografiche. Insieme fotografavano ogni particolare del borgo, lui le dava  consigli e lei provava a seguirli.

Loro li guardavano e origliavano, non erano una coppia fissa, non sembravano neanche molto intimi, lui con alle spalle già un bel vissuto ogni tanto tirava fuori un aneddoto delle sue esperienze. Forse erano al primo appuntamento, massimo il secondo, se era il terzo forse l’abbordaggio di uno dei due non stava andando a buon fine.

Fantasticavano sullo stato di quella coppia mentre anche lui, macchina fotografica al collo, cercava di capire che scatti avessero fatto. Una paio li rubò, anche se in realtà li aveva già messi in programma finito il pranzo. Sicuramente la coppia di fotografi non aveva notato i splendidi limoni che stavano crescendo nella pianta accanto alla porta di entrata del convento. Li fotografò lui e scesero verso l’uscita del borgo.

Scesero verso l’uscita ma prima di uscire salirono sulla porta. La vecchia torre ormai era diroccata, non vi erano più i pavimenti, le porte divelte e le finestre distrutte. Eppure non era da molto che non era più abitata, fino a qualche decennio prima veniva affittata e qualcuno con grande amore per quei luoghi la teneva ben curata e visitabile. La presenza dell’uomo può far bene, molto spesso anche l’assenza, ma in questo caso l’assenza pagava un brutto pegno.

Arrivarono sulla porta e guardarono a sud, laggiù c’era il calanco con il sentiero che da lì a poco avrebbero dovuto attraversare. Lei lo guardò e quasi non ci credeva che sarebbero dovuti arrivare lassù. Dalla porta il calanco si mostrava imponente, lo era realmente ma in quel momento le sembrava quasi irraggiungibile.

Ma niente è irraggiungibile, scesero, uscirono dal borgo e si incamminarono verso il calanco.

 

Foto di Enrico Pasini

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