La Società del Casino: circolo di divertimento e laboratorio politico/sociale

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Un circolo per la nobiltà e l’alta borghesia bolognese, un laboratorio politico e sociale dove vennero gettati i semi dell’unità d’Italia e della nuova società che sorse dalle ceneri dell’ancien régime, la Società del Casino di Bologna era un crogiolo di energie creative e ricreative. Questo circolo elitario venne fondato nel 1765 e nei primi tempi ebbe sede presso palazzo Rossi in via S. Stefano. Con l’arrivo dei francesi nel 1796, il Casino dovette chiudere avendo gli occupanti transalpini bandito tutte quelle attività riservate esclusivamente all’aristocrazia. Il Casino infatti nacque come ritrovo per la nobiltà felsinea e qui venivano organizzati balli, sfarzose feste in maschera soprattutto durante il periodo del carnevale, piccoli spettacoli teatrali, concerti e soprattutto serate dedicate al gioco dalle carte.
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All’epoca del resto, senza internet dove poter giocare a carte con utenti collegati da ogni parte del mondo e magari coltivare la propria passione in un casinò online, c’era bisogno di trovare momenti di convivialità e anche per questo nacque l’idea della Società del Casino, che dopo la chiusura imposta dalle truppe napoleoniche trovò nuova vita a palazzo Panzacchi trasformandosi in un Casino Civico dove borghesia e aristocrazia poterono intrattenersi in compagnia. Nel frattempo, grazie all’affermazione dell’asse russo austriaco in città, tra il 1799 e il 1800 si iniziò a respirare aria di restaurazione e così i nobili vollero nuovamente distaccarsi, volendosi ritrovare esclusivamente con “consimili” dal sangue blu in palazzo Zagnoni di Via Castiglione, esperienza durata soltanto pochi mesi visto che con il ritorno dei francesi in città si aprì nuovamente il casino di via S. Stefano. Qui insieme ai nobili confluirono anche tutti quei ricchi borghesi bolognesi che grazie alle ricchezze accumulate con i loro commerci potevano permettersi le quote di iscrizione mensili richieste a tutti i soci. Dal 1809 al 1823 fu palazzo Vizzani-Lambertini ad ospitare il Casino mentre successivamente furono le sale di palazzo Amorini Bolognini a regalare ore di sollazzo ai nuovi ricchi e agli aristocratici annoiati. In questo periodo vennero ufficialmente compilati gli statuti che ricordano gli ordinamenti del Casino e prevedevano letture di giornali e riviste scientifiche (anche in lingue straniere), giochi di vario tipo (non solo carte ma anche biliardo e lotto) ed esercizi fisici come la scherma ma anche momenti dedicati alla musica e alla lettura di poesie (la Società fu infatti responsabile della creazione della rinomata Accademia Felsinea).

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Fino al 1854, data della chiusura per motivi di ordine politico, borghesi e aristocratici tra una smazzata e uno spettacolo di teatro, discussero i temi dell’unità nazionale trovandosi spesso contrapposti tra fautori dello Stato Pontificio e “Ghibellini”, questi ultimi spesso in contatto con logge massoniche illuminate desiderose di sbarazzarsi della nobiltà codina legata storicamente ai Papi. Vi furono anche momenti dedicati alla cultura più alta e raffinata e ad esempio lo stesso casino ebbe l’onore di ospitare Giacomo Leopardi che il 27 marzo del 1826, di passaggio a Bologna in uno di quei suoi rari soggiorni lontano da Recanati, recitò l’Epistola al Conte Carlo Pepoli trattando con sublime eleganza proprio i temi della fuga dalla noia tanto cari a membri del Casino bolognese. Il Pepoli era del resto un onorato membro della Società del Casino e da letterato illuminista partecipò al fermento risorgimentale cittadino ritrovandosi in prima linea nella riorganizzazione politica post-unitaria servendo infatti sindaco di Bologna dal 1862 al 1866. Insieme a lui si ricordano altri soci “patrioti” come Luigi Loup, Rodolfo Audinot e Marco Minghetti. La Società fu molto attiva anche sul piano delle attività musicali. Frequentarono il Casino ed ebbero qui modo di esibirsi alcuni artisti di calibro internazionale come Elisabetta Manfredini Guarmani, Nicolò Paganini e Franz Liszt. A gestire i concerti che di solito solito si tenevano tutte le domeniche da mezzogiorno alle tre di pomeriggio era il marchese Francesco Giovanni Sampieri che cercò sempre di aiutare sia come agente che come mecenate diversi giovani e promettenti artisti. Nel 1863 la Società confluì nel Domino Club di via Castiglione perdendo così le sue caratteristiche di ritrovo aristocratico pur mantenendo uno spiccato gusto mondano.

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