Il declino che avanza in Appennino

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E’ questo il titolo di una analisi fatta da Giuseppe Bonacini su Redacon relativa alla provincia di Reggio Emilia nella quale si evidenzia il tracollo socio-economico di alcuni comuni dell’Appennino Reggiano. Si parla di tre comuni con la V : Ventasso, Vetto e Villa Minozzo che hanno raggiunto il cosiddetto “punto di non ritorno” ovvero la soglia oltre la quale questi enti non sono più in grado di invertire – con le proprie risorse umane – il declino demografico. La cosa non è peculiare dell’Alto Appennino Reggiano, la riscontriamo anche nell’Alto Appennino Bolognese. Anche un Comune quale Lizzano in Belvedere, analizzano di dati esplicitati in questa analisi, ha imboccato il “punto di non ritorno” e questo sebbene si siano investiti fior di milioni in seggiovie ed impianti sciatori ed ancora si ipotizza e ci si adopera, in ambito Regionale, di riversare fior di milioni in detto comparto a fune. L’autore si chiede per quale ragione non si decentrino attività produttive, istituti di ricerca, laboratori, università, musei, infrastrutture culturali, ricreative e sportive, ospedali specializzati, case di cura ed assistenza in queste aree geografiche. Tra l’altro si chiede per quale motivo l’Assessorato regionale alla montagna deve stare a Bologna e non aree appenniniche. Sig. Giuseppe Bonacini, anche il sottoscritto ha analizzato la crisi di una zona dell’Alto Appennino Bolognese, per taluni aspetti, simile a quello reggiano. Detta crisi viene da lontano, almeno più di 50 anni, nei quali la politica regionale, tramite le dependeces delle amministrazioni locali, si ricordi che non ci si pone in contrasto con il potere partitico centrale, ha sistematicamente provveduto allo smantellamento di quanto vi fosse di storia e cultura locale. Da tempo, e lo sanno anche i muri, il lavoro nasce da un livello di istruzione adeguato ai tempi. Non si entra in un mondo produttivo nel quale le conoscenze di informatica, robotica ed altro sono fondamentali. Ma queste conoscenze si acquisiscono con adeguati iter scolastici quasi o totalmente universitari. Sono i giovani che escono da un simile ambiente che possono trovare un impiego in loco, fondare start up , rilevare aziende obsolete ed altro. Sono questi giovani che possono entrare in istituti di ricerca e laboratori impostati localmente, e così per musei, infrastrutture CULTURALI, ricreative e sportive. Taccio sull’argomento Ospedali, visto che è in corso un sistematico smantellamento di dette strutture e della stessa Sanità pubblica. Le strade per riportare un po’ di ossigeno alle nostre aree montane dovrebbero seguire, a mio avviso, i seguenti binari : 1) Portare in zona istituti di studio di buon livello ed adeguati al 3° millennio 2) Conseguentemente porre istituti di ricerca e laboratori collegati a tali istituti di studio 3) Le attività produttive possono essere decentrate quando si imposterà una politica di facilitazioni economiche a chi decide di operare in tali zone. Lei lo saprà meglio di me che il costo energetico per riscaldamento, trasporti e gestione aziendale sono più alti in Appennino che in pianura. Quindi, come già fatto in altri paesi europei, riduzione di questi costi ed agevolazioni sul lungo periodo nelle assunzioni e relativi oneri. 4) Rivalutazione del patrimonio storico, culturale ed ambientale dell’Appennino e quindi musei, infrastrutture culturali, ricreative e sportive. Tutto questo avrebbe un costo decisamente inferiore di quella ventilata linea di seggiovie dal Corno alle Scale sino all’Abetone, eventualmente anche fino alla prov. di Reggio Emilia, con un apporto socio-economico per le popolazioni locali di ben altro spessore che quello di discutibili impianti a fune. Lei, sig. Bonacini, si chiede per quale motivo l’Assessorato regionale alla montagna deve stare a Bologna. Innanzitutto perché è nel centro del Potere, in secondo luogo lei è proprio convinto che all’interno di tale Assessorato vi siano persone con adeguate conoscenze delle realtà storico-economiche delle 3V, oppure, per stare più vicino ai miei siti, di Castel del Rio, Lizzano in Belvedere, Castel d’Aiano, tanto per fare tre nomi con culture, storia ed economie differenti ? Qui per impostare una politica atta alla rinascita dell’Appennino necessitano alcune cose : 1)Rivolgersi a quelle persone o associazioni culturali che nei vari comuni hanno una profonda conoscenza della realtà dei siti, e questo al di sopra ed al di fuori della appartenenza partitica. 2) Cessare o, almeno, ridurre la dipendenza dagli appalti con le loro nefaste conseguenze e corollari anche di ordine morale. Non si spendono danari del contribuenti senza adeguati studi, doverose informazioni ed altro. 3) Prendere contatti con centri universitari ed, assieme alle associazioni culturali, agli imprenditori locali, pianificare l’inserimento di tali centri in Appennino 4) Come detto studiare un iter di agevolazioni economiche a chi decide di operare o già opera in Appennino.

Sig. Giuseppe Bonacini , devo però confessarle il mio pessimismo. Non credo che la nostra classe partitica, politica è troppo pretenziosa, abbia le capacità, gli interessi e la volontà di metter mano ad un simile programma. Il tutto si ridurrà ad una serie di passerelle di vari esponenti partitici nelle zone in oggetto con nebbiose promesse, uso del condizionale futuro (sic) e senza alcun risultato come nel Comune di Lizzano in Belvedere dove ho la casa dei nonni. Sono più di 35 (trentacinque) anni che si assiste periodicamente ad una o più passerelle di politici e/o amministratori nel corso dell’anno. Il risultato ? Il Comune di Lizzano è passato da essere il primo comune per reddito della Prov. di Bologna all’ultimo. A livello matematico possiamo dire che il reddito degli abitanti di Lizzano è crollato in maniera proporzionale alle passerelle dei politici.

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