Era l’8 marzo, ero uscito da neanche due ore di casa, l’obbiettivo era pedalare senza mai fermarmi, fare un centinaio di chilometri senza mai fermarmi, provare a fotografare solo pedalando, senza mai mettere piede a terra. Tante volte lo avevo fatto.

Ero stato due mesi fermo, solo due volte a lavorare in bici e basta. Non ero abituato a tanta inattività, avevo fatto un giro solo dalla nuova casa, esagerando anche, e poi basta.

Volevo pedalare, senza obbiettivi, andando a fare qualche salita conosciuta e che ora rimaneva lontana da casa mia.

Badolo è stata per anni il mio allenamento preferito, bella, pedalabile, storica, con quel masso ad ergersi, a far da muro e da obbiettivo.

Non volevo fermarmi, poi, al primo tornante proprio sotto quel masso, mi sei apparso davanti.

Inconfondibile, maestoso, glaciale, sempre, nel termine più importante a cui l’uomo abbia dato significato, bianco, innevato assomigli ad un Pandoro, sei gustoso, sei amabile, sei magnifico.

Non volevo fermarmi, ho resistito tutti i tornanti, pedalavo lento, al massimo delle mie possibilità e poi finiti i tornanti, poco prima dell’inizio del sentiero che sale in cima al masso, mi sono voltato e ti ho rivisto. Ho messo il piede a terra e ti ho ammirato svettare sopra tutti, far da quadro a quella casa che dominava la valle del Setta e del Reno.

Che voglia avevo avuto in quei mesi di venir su, ma non ne avevo avuto la possibilità.

Avevo scelto la zona di Sasso per pedalare anche perché Modena la sera prima era diventata zona rossa, non si poteva né entrare né uscire. Avevo scelto di pedalare da solo, uno perché non ero in condizione di pedalare in compagnia e due, perché formare dei gruppi cominciava a diventare pericoloso, termine forse esagerato, ma a questo ci volevano convincere.

Eppure tornando a casa tanti erano i gruppi che avevo incontrato, tanti anche i modenesi. Eppure lo sapevamo che gli ospedali stavano saturando, che non vi era più spazio per “normali” incidenti, non vi era più spazio per problematiche causate da normali vizi.

La sera stessa l’Italia fu chiusa, da quel giorno fino a domani, 4 Maggio 2020. Due mesi di pesanti restrizioni e nonostante non tutte saranno tolte, da domani un filo di normalità, o forse meglio dire Anormalità a cui eravamo abituati, ci sarà ridata.

Tu mio caro Corno sei stato là solo, la stagione invernale è stata un disastro, quando si poteva venire su non c’era neve e quando si poteva ne eri pieno.

Sei rimasto là da solo, tu e la tua gente e ancora per un po’ ci dovrai stare, potremo venire a vedere come stai, come stanno le nostre case, salutare da lontano gli amici, ma poi dovremmo andarcene. Ancora per un po’.

Lo so che non ti siamo mancati e non ti mancheremo. Tu non hai bisogno di noi, sei sicuramente diventato ancor più bello in nostra assenza e proprio per questo la voglia di venirti a trovare è ancor più grande.

Perché tu non hai bisogno di noi ma noi abbiamo disperato bisogno di te.

L’altro giorno Enrico Brizzi, vero scrittore non come il sottoscritto, vero camminatore molto più del sottoscritto, ha messo delle foto sulla sua pagina Facebook della tua zona. Una di queste il crinale del Cornaccio, il tratto dallo Strofinatoio allo Scaffaiolo.

In un commento sotto quella foto ho scritto che quello che più mi è mancato in questa quarantena è stato non aver approfittato di lei, dei suoi silenzi e delle sue assenze.

Sarebbe stato stupendo viverti senza nessuno presente. Sarebbe stato stupendo ascoltarti senza neanche il rumore degli aerei, come mi ha detto l’amico Guglielmo. Sarebbe stato veramente stupendo.

Noi abbiamo bisogno di te mio caro Corno e torneremo in Estate, se faremo ancora i bravi scolari in questo mese di Maggio, ad ascoltare la tua voce, fatta di vento, animali, acqua che scorre, stelle che si accendono in cielo e qua e là un aereo che passa sopra le nostre teste, unica visione di un mondo esagerato.

Torneremo, tu stai lì e diventa ancor più bello, se mai sia possibile migliorare la perfezione.

 

Foto di Enrico Pasini

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