“E adesso non chiamateci eroi”

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Mi è stato inviato in omaggio ( e ringrazio il mittente “Mr.Giotto Fabbri”) il libro di cui di recente si è parlato non solo sui social :” E adesso non chiamateci eroi”.

Scritto da Andrea Stella, professore Ordinario di Chirurgia Vascolare all’Università di Modena e Reggio Emilia e all’Università di Bologna fino al 2018, e da Giovanni Gabrielli, fondatore della società di comunicazione e formazione “Com.unico Training School” ed edito da Techdow.

Gli autori hanno così presentato il loro scritto “100 giorni di vita con il Covid -19 . Esperienze reali di medici, infermieri e farmacisti, nella lotta al Covid-19”. Ed hanno dedicato la loro opera “ai 168 medici, ai 41 infermieri e agli 11 farmacisti che hanno perso la vita mentre erano impegnati a salvarne altre “ .

E’ quindi un libro di cronaca recente e la lettura quindi ci porta a rivivere le iniziali curiosità di quanto avveniva  a Whuan tramutatesi ben presto in ansie e preoccupazioni per il diffondersi in Italia del Covid-19 e i susseguenti fatti che hanno coinvolto tutti gli italiani. Le pagine scorrono non velocemente, perché il diario personale di alcuni e  le cronache intime di altri non possono non creare pensieri che si aggiungono alla realtà attuale: non abbiamo ancora vinto il virus e non siamo riusciti a superare tutte le paure iniziali.

Nella prefazione del prof. Galli ed anche nei racconti degli operatori sanitari citati nel libro non mancano i collegamenti alle epidemie degli anni passati (spagnola e asiatica), un salto nel passato che faranno certamente tutti i lettori “diversamente giovani”. Ricordo molto bene la prima conferenza stampa trasmessa su Sky alla presenza di autorità politiche e sanitarie nazionali e regionali e le loro parole molto rassicuranti:” Non c’è da preoccuparsi, siamo preparati…è tutto sotto controllo..”. E sappiamo tutti quale sia stato lo sviluppo, quante tragedie abbia provocato.

 

“E adesso non chiamateci eroi” ..dicono gli operatori sanitari che hanno lavorato e proseguono tuttora la loro opera nei reparti dedicati alla cura di questo virus. Ma certamente li definisce così chi è stato salvato dal loro intervento, chi sa cosa rischiano loro direttamente nonostante le tante precauzioni, come richiama la dedica iniziale.

Ogni epoca ha i suoi eroi che non sempre sono quelli in divisa militare ma anche gente impegnata nel civile per aiutare il prossimo. I  miei genitori erano infermieri, mio padre in pediatria al “Gozzadini” e mia madre in chirurgia al “S.Orsola”, l’abitazione era in centro e, nel corso dell’ultima guerra mondiale, sotto i bombardamenti percorrevano a piedi o in bici il tratto che li separava dal posto di lavoro. Non hanno mai mancato di essere presente là dove li chiamava il dovere.  Forse non sono stati “eroi”, ma sicuramente anche loro, come tutti i colleghi, hanno contribuito a salvare vite umane.

Nel dire un sincero GRAZIE a tutti gli operatori sanitari e invitando alla lettura di questo libro, chiudo il mio commento riportando le parole di un amico medico che ha rimandato il suo pensionamento per rimanere al suo posto di lavoro nonostante la situazione si fosse presentata subito molto difficile e con rischi personali.

“Ci hanno chiamati EROI.

Sicuramente l’appellativo ci fa piacere, ma ritengo che non sia né corretto né meritato perché mi piace pensare che la maggioranza delle persone coinvolte si sarebbe comportata nella stessa maniera.

Eroi perché? Perché ci siamo esposti? No, io credo che chiunque nelle stesse condizioni si sarebbe comportato come noi.

Io sono uscito per pensionamento, non certo per scelta, quando la situazione era in evidente miglioramento, ma per raggiunto limite di età.

Ricordo comunque l’ultimo periodo della mia carriera ospedaliera come un periodo comunque tragico e positivo nello stesso tempo.

Ricordo la paura che ognuno di noi avvertiva ma che subito scacciava perché la condizione non lo consentiva ed era naturale per noi affrontare il problema senza preclusioni.

Proprio questo stato d’animo che ha consentito il raggiungimento di un atteggiamento straordinario…la grande coesione del gruppo di lavoro, senza richieste particolari ed una enorme coesione. E’ stato un aspetto umano incredibile vedere un gruppo di lavoro, che già era collaudato, cementarsi ancora di più e diventare un blocco granitico senza chiedere nulla in cambio, solo con il piacere di collaborare per il raggiungimento dell’obiettivo e rendersi utile.

Questo aspetto, che dovrebbe essere la prerogativa di ogni sanitario, mi ha fatto rivivere le sensazioni che, quando da giovane medico tirocinante o fresco di assunzione, provavo quando medici ed infermieri, miei maestri di arte e di vita, mi davano collaborando e mettendo sempre “del proprio” nell’affrontare assieme gli aspetti medici ed umani del loro lavoro.

Se la tragicità dei momenti “del COVID” è stata enorme, questo aspetto è stato molto gratificante e penso che abbia contribuito a fortificare i rapporti dei vari operatori facenti parte della Unità Operativa di cui ero responsabile e quelli con i professionisti di altri gruppi che sono accorsi in nostro aiuto.

Ricordo ancora molto bene la sofferenza dei malati e soprattutto dei familiari con cui non poteva essere creato un contatto se non telefonico o videotelefonico; le persone decedevano lontane dagli affetti e non era possibile fare altrimenti. E’ stata un’esperienza indimenticabile dal punto di vista medico ed umano.

Mi tornava e mi torna tuttora sempre in mente un’affermazione, poi rivelatasi una profezia, di uno miei cari MAESTRI, che affermava – Ricordati sempre che fino al giorno prima di andare in pensione, vedrai e dovrai affrontare cose che non avevi mai visto!

Con tutto l’affetto che tuttora provo per lui…mi pare che abbia esagerato.

E non chiamateci EROI!”

Paolo Leadri

 

 

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