Piove sul bagnato, siamo alle solite…

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foto greenme

Dopo il disastro alluvionale dell’ultima settimana che ha colpito in particolar modo la Romagna e l’Emilia centro-orientale, è tutto un proliferare di futuri interventi, compaiono più esperti degli ettari sommersi, le solite diatribe politiche, c’è il rischio di corposi appalti, e un tourbillon di future soluzioni. Una gran parte di questo disastro, almeno l’80 % , è imputabile da circa 150 (centocinquanta) anni allo stato di degrado delle zone collinari e di bassa montagna dell’Appennino che gravitano su questo triangolo della Pianura Padana. Sono aree pesantemente disboscate sulle quali non è mai stato elaborato ed attivato un piano di salvaguardia. In cosa consisterebbe questo eventuale piano ancora nel cassetto da 150 anni ? Innanzi tutto in una sistematica piantumazione di latifoglie, e, ove si riveli necessario, un organico sistema di terrazzamenti e, dulcis in fundo, una corretta manutenzione degli alvei torrentizi e fluviali. Partiamo dalla messa a dimora di alberi. L’Italia importa annualmente noci dai seguenti paesi : California (USA), Cile, Australia, Francia e da altri. Ricoprire ampie aree con tale tipologia di piante si otterrebbe il risultato di consolidare i terreni, di produrre noci di ottima qualità e di evitare di spender soldi all’estero per il loro acquisto. Altra fruttifera che si potrebbe piantare è il castagno. Annualmente importiamo, persino dalla Cina, oltre 50.000 (cinquantamila) tonnellate di castagne. Come ho detto più sopra si otterrebbero tre risultati contemporaneamente : meno esborso di danaro, meno frane ed alluvioni e più lavoro per chi vive ed opera in zone montane e collinari. Andiamo al secondo punto : i terrazzamenti. Questo antichissimo sistema di difesa del suolo e di contrasto di violente piogge è stato riconosciuto persino dall’ UNESCO. Chi, come me, frequenta aree di bassa montagna abitate sin dal medioevo o poco oltre, ha ben presente come i terrazzamenti costruiti, cito alcune date, tra il 1527-1530 , 1536 , 1557 ed altro, in quasi 500 (cinquecento) anni non abbiano mostrato segni di degrado, abbiano contribuito al controllo dei più violenti piovaschi succedutisi in quasi mezzo millennio e consolidato pendii montani. Andiamo al terzo punto : corretta manutenzione degli alvei torrentizi e fluviali. La prima voce su questo argomento sarebbe quella di SMETTERE di edificare in prossimità, se non dentro, a zone golenali e/o negli alvei medesimi. Prendere buona nota delle piene succedutesi nei vari secoli, mantenere un ulteriore margine di sicurezza a fronte di avvenimenti eccezionali imprevedibili. Vari ponti di passaggio NON devono essere costruiti restringendo l’alveo fluviale ma mantenendo la sua luce se non ampliandola. Tutti quei boschi che ornano le sponde fluviali, sono belli da vedere ma creano due effetti profondamente negativi in caso di piena : riducono l’ampiezza del deflusso, causando, conseguentemente, un innalzamento del livello di piena e della velocità delle acque. Non ultimo, detti boschetti, fornirebbero tronchi ed alberi in enorme quantità al fine di danneggiare pilastri dei ponti ed i ponti medesimi riuscendo, persino, a far crollare questi ultimi.

Ho espresso la mia opinione che, penso, razionale, sulla gestione dei territori collinari e montani al fine di contenere, se non eliminare, disastri come quelli successi. Di una cosa sono sicuro, che la classe politico-amministrativa, sostenuta da una folla oceanica di “esperti” , si guarderà bene dall’esaminare queste mie modeste osservazioni e marcerà spedita verso il prossimo disastro, come avviene da circa 150 (centocinquanta) anni .

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