Una torta salata con antiche e recenti ricette

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1967

 

Vi era una ricetta, che ogni tanto veniva eseguita a Pianaccio dalla nonna, che, andando a rovistare in antichi libri di cucina, ho visto riemergere. Nel già citato Libro di cucina del secolo XIV di Ludovico Frati, vi è infatti la ricetta XCV. Torta de herbe. Quasi la stessa compare nel celeberrimo Libro de arte coquinaria di uno dei più grandi cuochi di ogni tempo : Maestro Martino de’ Rossi prima metà del 1400. In detto libro la ricetta compare sotto il nome di “Torta bolognese”, oggi comunemente, con qualche variante, la troviamo quale “Erbazzone” nel reggiano. Possiamo certamente affermare che tale torta abbia, ormai, una storia quasi millenaria. Gli ingredienti sono facilmente acquistabili e con poco prezzo, la sua esecuzione, oggi, è di una semplicità unica ed il risultato, se non si commettono grossolani errori, garantito. Tra l’altro detta torta si può consumare tanto calda che fredda. Faccio riferimento alla Torta bolognese di Martino de’ Rossi e, poi, alla fine, vi elenco le varianti che si eseguivano. Necessita una pasta tipo brisée o similare, ma senza uova né lievito. Circa gr 450 di pecorino fresco tritato, 200 gr di foglie di bietola tenere tritate, un pugno di prezzemolo, anche quello tritato, maggiorana, qualche foglia di menta, gr 50 di burro, 4/5 uova, pepe, sale. Si impasta il formaggio con le erbe, si sala e si pepa, si sbattono le uova e si aggiungono nell’impasto assieme al burro quasi fuso. Si impasta ben bene. Intanto in una teglia, possibilmente imburrata, si stende la pasta in maniera che parte debordi dalle sponde. Si versa l’impasto, si ricopre con la pasta debordata lasciando uno spazio al centro in maniera che esca il vapore. Si pone nel forno ad una temperatura di circa 160-170° . La torta è cotta quando la pasta assume un colore ambrato o nocciola chiaro.

 

 

Le varianti : nel libro di Frati viene messo, al posto del burro, lardo finemente tritato e spinaci tra le erbe, ovviamente le parti tenere e trite di questa verdura. A Pianaccio la pasta era quella del pane ma senza il lievito e con una abbondante dose di strutto. Le verdure potevano essere quelle della Torta bolognese, con la variante dell’origano al posto della maggiorana. Ad autunno inoltrato, o in inverno, la bietola veniva sostituita dalle parti tenere della verza o del cavolo nero. Se dette verdure, cui era tolta la nervatura centrale, risultavano un po’ coriacee, si provvedeva ad una sbollentatura in acqua salata e, poi si lasciavano sgocciolare e quasi asciugare prima di tritarle e fare l’impasto. A mio avviso il forno ideale è quel modello elettrico con riscaldamento sotto e sopra. Facile da modulare e, se si ha l’avvertenza di non esagerare con la temperatura, la torta risulta cotta perfettamente anche all’interno. Una osservazione: come facevano i nostri nonni a cuocere detta torta o altre cibarie che necessitavano del forno? Chi aveva una cucina economica, come i miei nonni, la cosa era semplice, in inverno, ma per chi non disponeva che del solo camino che, allora, funzionava 365 giorni all’anno ? Vi ricordate i famosi tegami di terra cotta di produzione toscana ? Quelli color ambra scuro ? Mi ricordo che vi erano coperchi che invece di essere convessi, a cupola, erano piatti o leggermente concavi. Quindi, una volta messo l’oggetto da cuocere nel tegame e postovi il coperchio, si metteva detto contenitore sopra il famoso triangolo di ferro con sotto le braci, nel camino. Sopra il coperchio si deponevano alcune palettate di braci. Si lasciava cuocere e, grazie alle capacità delle “Arzdore”, le massaie del luogo, il tutto veniva cotto alla perfezione. Era un modo utilizzato sia dagli antichi romani che per tutti i secoli fino alla II Guerra Mondiale. Ingegno e “manico” consentivano di cuocere al forno senza il forno. Buon appetito

 

Le ricette risalenti al Medio Evo: la prima molto probabilmente arriva da un ambiente toscano, la seconda da uno Veneto.

 

Ettore Scagliarini

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